Il pozzo degli innocenti di Doriana Goracci

La tristissima fine di due bambini pugliesi, Francesco e Salvatore Pappalardi di Gravina, di cui si erano perse le tracce da mesi e mesi, domina oggi, forse anche domani, le prime pagine dei media. Dicono che non sarebbero morti subito dopo la caduta e a seguito di qualsiasi trauma subito: è probabile che siano deceduti a causa del freddo e per fame. L’ultima è di fonti vicine alle indagini che fanno questa valutazione, “a prescindere dal fatto che i due ragazzini siano caduti o siano stati scaraventati da qualcuno nella cisterna”.

La cisterna, il pozzo, quello spazio verticale scavato nel terreno che raccoglie solitamente l’acqua mi fa tornare alla mente il 10 giugno del 1981.
Io ero in attesa del primo figlio e faceva un caldo terribile a Roma, mancavano poche settimane alla nascita e venni sorpresa e letteralmente inchiodata alla televisione come milioni di altri italiani per sapere che fine avrebbe fatto Alfredo Rampi, detto Alfredino, caduto in un buco di 36 metri, un pozzo in una località tra Roma e Frascati, chiamata Vermicino. Ci furono volontari e mitici soccorritori, calati dentro, anche a testa in giù. Furono stimate in più di 21 milioni di persone coloro che seguirono la straziante vicenda in televisione.
Andò sul posto anche anche l’allora Presidente della Repubblica, Sandro Pertini, lui si che sembrò con l’affetto sincero di un parente, di un nonno. Malgrado i tentativi, il bambino scivolò ancora più in profondità, la sua voce, raggiunta con un microfono, si fece sempre più flebile. Il bambino morì il 13 giugno e il corpo fu recuperato 28 giorni dopo.

L’Italia aveva seguito insieme e con trepidazione quella diretta che si avvalse credo per la prima volta di una telecamera fissa. Sembrò una tragedia collettiva e nessuno apparve così cinico o indifferente da fare spallucce. Andarono in massa sul posto, come in certi processi di cronaca nera.
Ma lì sull’orlo mi sembra che sia rimasta una certa innocenza, persa poi nel fondo come la partecipazione vera e affettuosa di chi si sentì un po’ madre e fratello e padre e amico e sorella di quel bambino e di quelli che erano là per aiutarlo e tirarlo fuori.
Sono passati ventisei anni da allora e il pozzo, la cisterna sembrano essersi riempiti di veleni e ancora rimanere trabochetto, trappola mortale per chi è innocente e non sa guardare e diffidare dal pericolo e dal male. E pensare che sono nell’immaginario collettivo quei buchi nella terra come tesori di alimentazione per l’acqua, oggi anche del petrolio.
La possibilità che i due fratelli Francesco e Salvatore siano morti di consunzione nella cisterna o uccisi prima, fa come provare un senso di stordimento e smarrimento insieme. Non è più cronaca tragica: è incubo al passo con i tempi.

2 thoughts on “Il pozzo degli innocenti di Doriana Goracci

  1. anche io ai tempi di alfredino aspettavo la mia prima figlia che poi è
    nata solo un mese dopo. angoscia e terrore per quello che questi poveri
    bambini devono aver provato. ma penso che adesso la dignità di queste
    morti voglia un dolore raccolto nel pudore di chi non vuole
    strumentalizzare una tragedia.
    Patrizia

    Dolore, sì, silenzioso.
    rina

    Non volevo aprire questo documento,non volevo rivivere la carne che si
    strappa,la perdita del fiato,la gola serrata.Questa mattina,sulla
    strada tra la nebbia una bicicletta e i pompieri giù nel fosso, senza che ci
    fosse il sole,dentro la nebbia ha perso il corpo di questo
    giorno,sotto l’urto di un camion che non l’ha vista,che l’ha fatta volare in aria
    e ha sentito un botto,senza vedere,senza sapere che era lì sotto,senza
    la luce che ne dichiarasse la distanza,dal suo cielo a quello senza
    misura,fatto di spugna e di gas, tra una macchina e l’altra in corsa verso
    …Un corpo come quello di un cane,di un gatto ai bordi della strada.E
    una coda di macchine da una parte e dall’altra: il minimo fermarsi a
    lato di quella perdita e recitare una coda lunga,più lunga ancora,senza
    protesta. La strada:quanti ne lasciamo lungo la strada.Quanti nomi non
    segnamo nella nostra memoria?Un pozzo che non finisce ancora.
    Eppure si continua,senza sosta,perchè la vita è così,tragicamente fuori
    di misura.

    ferni

    Antonella è stata molto brava a coniugare quello che avevamo scritto
    per una fatto vissuto nel virtuale. Non sono figli nostri quei bambini
    morti eppure abbiamo sofferto ventisei anni fa come tanti per chi è più
    o meno grande come me. Altre lo ricordano lo stesso perchè magari
    erano bambine…Non ci fù allora pudore ma un’onda di ansia e calore
    attorno a quel pozzo. Ci tengo a rispiegare l’oggi, che mi fa molta più
    paura.
    Anche io non sono più così cedevole alle lacrime, anzi non lo sono per
    niente. Ne muoiono a migliaia di bambini tutti i giorni per fame e per
    guerre per malattie, come le loro mamme e i loro padri. Prende come una
    vertigine questa non misura della notizia, della tragedia. La poesia a
    volte la uso, per calmare l’affollo delle parole, scrivendone poche,
    limitate oppure leggendo poesia, la vostra ad esempio. E’ come una
    carezza, un voler tornare a riposare, ben sapendo quanto è profondo il buio
    di quel buco. Oppure scrivo di seguito come oggi e mi sembra tutto così
    vano.

    doriana

    Sì, ricordo anch’io. Fede fece la sua fortuna durante la Guerra del
    Golfo. Un vanitoso senza dubbio. Angela

    Quello che è proprio insopportabile è la morbosità che si registra in
    tutti i media. In particolare ieri Emilio fede ha fatto una lunga
    trasmissione per ripetere in continuazione le parole “sventurati fratellini,
    morte orribile, morti di stento e di fame, sono stati gettati chissà,
    orribile fine, ecc.”, dove la cronaca dei fatti non poteva ancora essere
    testimoniata. Una trasmissione non dedicata alla notizia ma per
    stimolare curiosità, morbosità e rabbia umana; contro cosa? non contro il
    destino, non contro il degradi di alcune situazioni familiari. Contro lo
    Stato. Che avrà pure le sue responsabilità nei ritardi e nei percorsi
    delle ricerche, ma non certo di questa morte ingiusta che fa riflettere
    invece sul dramma di essere bambini senza giovinezza.

    marta

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