Antonella Pizzo è carinissima perché, mi scrive, come hai fatto a sapere che lavoro al catasto di Ragusa? Ovvio: me l’ha detto Mister Google e quello dice tutto a tutti, basta consultarlo. E consultandolo ci accorgiamo che Antonella scrive e scrive parecchia narrativa e poesia, in lingua italiana e siciliana. D’altra parte, l’ottimo Marco Scalabrino ce l’aveva già presentata nel mese di maggio su queste pagine, commentando una sua raccolta.
Perciò non indugio nei convenevoli e rimando il lettore alle nostre indicazioni per conoscere l’opera di Antonella, e cercherò di esprimere alcune osservazioni sulle tre poesie che ella ha inviato a Poiein.
Un’impressione che ricavo da una prima lettura, è il ruolo del paesaggio e delle cose in questa poesia. Le cose infatti vengono come introiettate dalla poeta e caricate di un significato che esprime uno stato psicologico. Le cose sono anche immagini: l’autrice ha capito benissimo o comunque lo ha intuito felicemente, che il linguaggio astratto non ha la forza assertiva dell’immagine e che i “ragionamenti” in poesia (o le dichiarazioni, le enunciazioni di concetti, di principi, ecc.), anche se espressi in una “forma” poetica, sono molto meno espressivi delle immagini. Antonella dunque decide di esprimere non un concetto, ma un’immagine che è caricata del concetto che ella vuole esprimere, lasciando al lettore e alla sua sensibilità il resto, ossia la “decodifica” del messaggio secondo le sue personali prospettive. Un’immagine però non è un concetto: essa può esprimere mille sfumature, non una sola visione. E poi l’immagine è “vista”, anche con gli occhi interiori (della “immaginazione”, appunto) e continuamente rivissuta, mentre il concetto è fisso, può essere sempre più sondato nel profondo delle sue implicazioni, nel suo “nadir” per usare un termine di orientamento spaziale (ma la filosofia lo fa molto meglio che la poesia), ma non può muoversi da destra a sinistra, in avanti o indietro come l’immagine, che occupa anche uno spazio fisico (pur se mentale) oltre che psicologico. E le immagini usate in questa poesia sono quelle più oggidiane, quelle che si direbbero “meno poetiche” secondo un “canone” massificato di poesia: l’attricetta della pubblicità, i prati di periferia, la bottiglia di olio fracassata, il supermercato, oggettini e carabattole, che nella trasfigurazione dell’ambientazione poetica assumono un valore simbolico nuovo, perché vengono caricati della psicologia dell’IO poetico, dei suoi sentimenti, delle sue emozioni, delle paure, ecc.
E poi vi sono degli scarti improvvisi, come quello “spingo il mio carrello nel vuoto”, un verso, poche parole, che, come a riassumere l’intera poesia, ne spingono l’interpretazione verso una direzione precisa, anche se – anche qui – lasciata a una personalissima libertà interpretativa del lettore. Certo che “spingo il mio carrello nel vuoto” è, a mio avviso, un verso potente, perché da solo innalza tutta la composizione, con quello “spingere nel vuoto”, da una banalità del quotidiano verso uno scenario metafisico o metafisico-esistenziale, con un solo potente colpo di scena, cambiando totalmente il piano interpretativo. Un po’ come la poesia della cosiddetta “linea lombarda”, per certi aspetti, ma solo perché Antonella usa un materiale espressivo simile che però viene trattato in ben altra maniera.
http://www.poiein.it/autori/P_Q/pizzo3.htm
“Finchè esiste l’espressione con qualunque mezzo- sangue e inchiostro-non esiste una infelicità completa” Scipio Slataper
Parole che ho nel cuore
Nel profondo di me stessa
Parole che nascono
Da esauditi petali
Parole distanti
Dalla parola viva
Senza nodi
Senza vincoli
Senza condizioni
Parole che ho nel cuore
Dove la calma
Ha fatto nido
E i traslati del vento
Sono chiari
Ma le parole
Non sempre affiorano
Ed io aspetto
Ascolto
In tante notti illuni
Ma dove ci conduce
Questo cielo
Muoiono i giorni
E le ore corrono
Sul cuore
Coi lenti colori della vita
A bisbigliare
Che niente più le avviva
Non è l’eden
Quello che si vive
Esule si sente
Chiunque crede
E gli inverni
Gli inverni
Crepuscoli infiniti
Le attese
Le attese di Penelope
son morte
E quel viola
Quel viola
Che non lascia mai
Ma poi
Non so come
E quando
Mi toccano le parole
Son germogli
A dischiudere
Quei suoni
E’ la luce a sbiadire
Gli ultimi pensieri
La cetra di Orfeo
A sfaldare
Di enigmi
Ragnatele
Nulla-dirai-
Mutano le parole
Ma decifrarne il senso
Annulla ciò che è stato
E i colori dell’esistenza
Le parole
Hanno ereditato
Maria Allo
“Ma decifrarne il senso
Annulla ciò che è stato
E i colori dell’esistenza
Le parole
Hanno ereditato”
La chiusa racchiude il senso e la consapevolezza della responsabilità
della scrittura.
Stupende le immagini e le metafore utilizzate dall’autrice.
Mirella