Una vita in scrittura: Marina Raccanelli

omaggio a un poeta, Giorgione, 1505

 Una vita in scrittura

L’invito è stato rivolto da me a Marina Raccanelli che l’ha interpretato come segue.

Grazie infinite a Marina e grazie a chi si è fermato a leggere.

Per la maggior parte della mia vita, la letteratura è stata romanzi da leggere e poesie da assaporare (o con cui annoiarsi, a seconda dei casi), con qualche vago tentativo di emulazione adolescenziale per quanto riguarda i versi.
Più tardi, quando la vita mi ha presentato il conto e mi sono scontrata con situazioni per me difficili o impossibili da superare, o perlomeno accettare, ho incontrato per mia fortuna lo sfogo della scrittura. Ed ho riempito diari su diari, quadernetti squinternati fitti di parole torrenziali…a poco a poco, la corrente è diventata meno impetuosa ed ha rallentato, le mie parole si sono messe, spesso senza la partecipazione della mia consapevolezza razionale, in un ordine tendenzialmente “poetico”.
Mi sono spuntate dalla mente, dalla mano, dalla tastiera, frasi sintetiche, immagini, musiche silenziose.
Mi piaceva, questo cambiamento: uscivo dal mio io aggrovigliato per diventare pagina bianca e nera. Più bianca che nera. Questo mi dava sollievo, era una fatica diversa, che poteva risolversi in una sorta di sublimazione, a volte quasi in divertimento. Accumulavo pagine su pagine e imparavo il gioco. Ma questa sfumatura un po’ superficiale, che mi portava a scrivere in modo spesso un po’ criptico, con divagazioni e collegamenti inessenziali, l’ho poi superata, almeno credo – anche se solo in parte, dopo le esperienze di vita dei miei ultimi decenni.
Si è ammalato ed è morto mio padre; nell’infanzia lo avevo conosciuto troppo poco a causa del suo lavoro che lo portava spesso lontano da casa, ed ho imparato ad ascoltarlo in momenti molto dolorosi. In seguito, anche mia madre si è ammalata, e il suo declino fisico è stato lentissimo; dopo essersi ripresa una prima volta con grande forza di volontà, poi ha dovuto gradualmente cedere e la sua è stata una lunghissima fine, una serie di stati fisici e mentali altalenanti, una vita che non era più vita infine, una morte continuamente rimandata.
Come tutti, poi, ho attraversato la pandemia, faticando molto a reagire al senso di incertezza e spaesamento; in modo simile, l’attuale guerra in Ucraina, che coinvolge tutto il mondo, mi crea nell’animo un sottofondo di indignazione ed allarme.
Per fortuna riesco, ancora e di nuovo, ad assaporare ciò che mi è sempre piaciuto: la natura e l’arte nei loro aspetti più svariati, la vita che si è manifestata anche attraverso una nuova nascita in famiglia, e per fortuna riesco ancora a scrivere. Molto meno di una volta, ma tutte queste esperienze mi hanno aiutato a sfrondare l’inessenziale, a toccare il fondo, il legame tra morte e vita, tra il micro e il macrocosmo, il tutto e il nulla.
Ecco alcune delle mie poesie che coprono questi decenni, dalla prima, in cui mi sono consolata da sola guardando una tomba, a quelle dedicate a mio padre e mia madre, alla loro assenza, alla mia futura morte che ho visto nella loro; e poi, alla bellezza della natura, a mio nipote, alla pandemia e alla guerra, per perdermi alla fine nell’universo, dove tempo e spazio si congiungono, e il principio si può pensare eguale alla fine.

Smeriglio

Tu non devi pensare a niente –
la tua mente in bianche lenzuola –
accantona il volto dell’urlo
lasciati andare, guarda
i pesci dentro l’acqua di smeriglio…
distendi l’anima stanca:
stuoie di terra e sassi
saranno pronte nel cerchio d’alberi
scorrerà la tua mente tra radici
lussureggianti

A mio padre

Ho sfiorato soltanto la superficie
della tua vita, padre mio:
tu, sospeso in un mondo parallelo
designato da nomi strani

mi davi la mano sul lungomare
apparso come un dono d’inverno
con sciabola e bottoni d’oro –
la tua infanzia, un luogo diverso
odoroso di sale e cataste
imprendibile mondo svanito
non si poteva dire perché…

ho sfiorato soltanto la superficie
del tuo esistere, padre
dovunque tu fossi era un esilio
ti rodevano colpe non tue

A mia madre

La tua spumeggiante voglia di vivere
dopo l’inciampo divenne ostinata –
tu, affamata di vita e viaggi
confinata alla fine in una stanza
di desideri compressi –
ti allontanavi, straziante e lieve…

L’assenza è rimasta nelle stanze
spopolate di mobili, smembrate –
cose e ricordi in sottrazione
rassegnata –
lo sfascio fu calcolato con precisione
e lo sgombero avvenne in metri cubi

Ora, la tua presenza è annidata
in me, stiamo fluttuando insieme
da un passato incerto verso un futuro
nebuloso
noi, molecole forse senza fine

Pensando a mia madre
Tu lì ora
lì dove sei
non hai caldo né freddo
come
mai fossi stata viva –
da tempo già non sentivi
sapori suoni colori odori
ti nutrivi con aghi –
tu lì ora non vedi nubi
fili d’erba o dirupi
né sentieri romantici
tu lì ora – ma dove?

Io che vorrei versare in te
il cielo che mi trabocca dentro
i rampicanti gentili sui sassi
lussuriosi alberi verdi
piante rosse dai gambi perfusi
le note in lieve sottofondo, i mattini
gocciolanti, ogni singolo albero
le curve dei prati affettuosi
io che vorrei non posso

Quando sarò altro

come e quando
sarò altro
nel crepuscolo breve del mattino
sarò goccia sul filo, sarò pozza
dell’inverno fangoso, come e quando
sarò corpo di nebbia e non-pensiero

altri si occuperanno della carta
divideranno
l’umido dal secco

Ho visto cieli

Ho visto cieli e precipizi
e lo splendore di pareti
invincibili
prati brillanti a perdere
e sentieri ondulati, alberi vivi
acque cadenti a scroscio
il sordo racconto del fiume

A mio nipote

“Se avessi le parole dei grandi –
ma le mie sono molto meglio!”
alla voce del papà rispondo
gorgogliando felice – dove si nasconde
dietro o dentro il telefonino?
questo è un oggetto da buttare

il mio cane è più grande del dinosauro
questa lampada è un sole – le sorrido
vedo tutto e collego
chi mi guarda, sprofonda nei miei occhi
e la mia mamma è la padrona
della pappa e del sole
fermamente, io voglio stare in piedi
cosa viene dopo, non so

Quarantena

Viviamo appesi a milioni di dati
i nostri sogni sono numeri e spartiti
passiamo il giorno a disinfettarci le mani
i volti dei nostri cari sono ridotti a quadratini

noi, cancellati da maschere bianche
il mondo com’era prima, un ricordo lontano
passiamo ore e giorni dentro scatole chiuse
fuori, piazze e strade sono spazzate
da irrespirabili venti – soli nel pianeta
perso in distanze siderali

Alfa ed Omega

Non canto più – capitolo chiuso.
Fine delle emozioni a onda
e dei cuori all’unisono –
la mia clessidra è capovolta
non più
arcobaleno di sabbia
ma nebbia e cenere
troppo a lungo
è stato uniforme il tempo
e lo spazio stretto –
il mondo, roso dal virus,
ora esplode
non canto più – ora è tempo
della voce intima: scorre e vive
dietro il suono
dentro le parole non dette
nella caverna dell’anima –
alfa ed omega di un suono eterno:
siamo usciti e ritorneremo
nella sua liquida sfera

L’universo nel punto zero

Avremo albe simili a tramonti
e tramonti in albeggiare di stelle –
nei vapori sulfurei come torri
sgorganti da profondità
anni luce lontane
vedremo
approssimarsi l’inizio – nulla vertiginoso
senza fiori né piante né pensieri

non vedremo più albe sul mare
né tramonti
sui profili delle montagne

l’universo nel punto zero
sarà simile al buio dopo il crollo
dei giganti ghiacciati –
sterminati deserti dopo il fuoco
ed un bianco disastro nucleare –
nessuna croce sui genocidi
e gli olocausti per fame

possiamo immaginare il punto zero
anni luce di stelle e il nostro mondo
inghiottito dal buio nel collasso
finale

Il mio sito è : Poesie e altro (https://poesiedimarina.wordpress.com/)

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