Il registro è leggero, come se la ferita fosse pudicamente velata dallo stile e spettasse al lettore di cercarne altri indizi, che l’autrice dissemina qui e là, quasi per caso. E lo fa sul piano semantico […], ma soprattutto sfruttando soluzioni formali: si va dalla metafora dal forte valore simbolico (‹‹lui era un albero abbattuto / ed io i suoi rami››), al procedere per opposizioni (‹‹il nero sgorga dai tombini›› oscurando ‹‹gigli e gelsomini››, risarcibile però da ‹‹una filastrocca›› celeste), all’uso insistito di verbi dalla carica espressionistica (le ‹‹chiacchiere m’assalgono / […] / trucidano idee ancora in boccio / […] / soffocano germogli / stritolano radici››), al lapsus […]
A differenza del precedente libro (A forza fui precipizio, Lietocolle 2005), governato da un’urgenza tutta privata, oltre che dall’‹‹idea della fine e della parola ultima›› (come scrive nella prefazione Anna Toscano), in Catasto e altre specie il respiro s’è fatto collettivo, sgorgando nella mediazione dello stile e del pensiero, leopardianamente pessimistico eppure capace di infondere speranza, di lasciare spazio all’immaginazione.