Su Catasto ed altra specie di Antonella Pizzo, FaraEditore, 2006 Biagio cepollaro

1.

Il libro si organizza come per frammentazione o gemmazione da un testo originario che sembra raccoglierlo come una sorte di monade da cui per svolgimento il resto si precisa e nasce. La memoria è fatta di documenti, precisi, netti, catalogabili, collocabili, eppure la memoria svapora non appena  si fa strada il sospetto che ci sia stato dell’altro, che c’è comunque dell’altro, sempre. E a nulla vale inventariare la superficie delle cose, quando le cose non sono esse stesse superficiali, dotate come sono di profondità, aggrovigliate nel profondo.

2.

Nella poesia di apertura in sentenza si anticipa lo svolgimento successivo e minuzioso. Non c’è patema ma disinvolta registrazione. Almeno in apparenza, dal momento che la prosastica leggerezza dell’avvio ben presto scivola nell’indeterminato e nell’allusione più scura.

Tutto comincia dalla banalità del male, da una svista, da burocratico errore, ma poi è già ‘ingiustizia cieca’, è già ‘urlo nella nebbia’, è giù  ‘il fosso oltre misura’.

3.

Registrare, collocare, dividere, sistemare. Sbagliare, correggere… Come se davvero le cose una volta ‘accatastate’ s’acquietassero in un senso, pacificate.

E invece no: non i girasoli di Van Gogh ma carciofi e cavolfiori. Il sogno dell’arte come il sogno della vita non è ancora arte non è ancora vita. Anzi, tutto il contrario: quest’arte, come la vita, comincia dall’accettazione ‘fogli arrotolati e carte/ come i pensieri in testa’ (pag24).

4.

La diminuzione, la desublimazione, l’utilizzo fino all’esaurimento della metafora-catasto come abbassamento della più aulica metafora-libro ed ecco che il tempo si àncora: ‘Il mio tempo è di ventiquattro righe/una per ogni ora del giorno’. E questo diventa lucido ma non spietato sguardo sui meccanismi di una storia anche famigliare:‘non è per mancanza di rispetto/ ma è il meccanismo che non fa per me’ (pag.31).

5.

Più lieve è il dettato, più essenziale e scarno,  più diretto e necessario, più la lingua risponde alla chiamata. E’ un’esistenza che si racconta attraverso un espediente che organizza e che dice lasciando intatto il mistero, il senso e il non senso, secondo la responsabilità degli anni e della vita vissuta. Ed è accettazione umile e dunque vera che dopo un po’ che risuona, a chi legge, nell’universale rimbalza: ‘Ti prego la mattina non parlare/ che mi cancelli i pensieri/ne ho uno sottile e chiaro/ come filo di seta dipanato/ lucido e serico/ lampante e incontestabile/ che m’attraversa la mente: il principio è legato alla fine’ (pag.37).

 

Biagio Cepollaro

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