Una sorta di simpatia ci muove a scrivere una breve nota su questo bella raccolta della siciliana Antonella Pizzo, solida conoscenza di Poiein, anche dopo la pur acuta ed esaustiva nota di Massimo Orgiazzi, appena inserita pochi giorni or sono. Il motivo è, simpatia a parte, che mi intriga molto il tema del libro che mi sembra, per una serie di considerazioni che cercherò d esporre al meglio, di notevole rilievo. Il tema che predomina mi pare quello del “distacco”, che è sì, come rileva Orgiazzi, un distacco dalle cose o anche una sorta di diffidenza o forse estraneità nei confronti del mutamento, del divenire (nella piena accezione filosofica). Ma è un distacco particolare e appunto questa particolarità mi sembra un carattere saliente della raccolta: un distacco sereno, conciliato, senza la connotazione tipica di trauma, che è sottesa nell’uso comune di questa parola. In realtà, la presenza costante in questi toni chiari, in questa leggerezza, in questo vento, in questo cielo solcato da un passaggio di gru, mi pare essere la morte (e forse la gru “di ferro” potrebbe essere il simbolo di questo fare e disfare sempre le medesime cose, ossia il presente, visto in questa sorta di àpeiron anassimandreo, dove la poeta riveste i panni di colei che è pronta a dipartire nel futuro, che, anzi, già si vede al di là del suo ciclo biologico e storico, per fare posto a qualcun altro secondo la legge del tempo, come dice appunto Anassimandro). Illuminante sotto questo aspetto la poesia Quando questo mio andare si compirà, che sembra riecheggiare una lirica in appendice a Salutz!, di Giovanni Giudici – anche lì si trova la stessa poetica degli oggetti scissi dal loro fruitore, ma nello stesso tempo l’anima del fruitore che pare permanere negli oggetti. Se facciamo poi attenzione all’uso dei tempi nei verbi, vedremo che dominano ampi squarci di futuro (e racconto di cose che accadranno nel futuro) e ci accorgeremo peraltro che il pur innegabile e a volte maniacale riferirsi al quotidiano oggettuale, agli odori persino, altro non è che una rivisitazione onirica dall’al-di-là di questa barriera, già considerata superata nel distacco – che pertanto è già avvenuto, seppure soltanto nell’immaginario. E’ possibile parlare di futuro come esperienza già avvenuta? Certamente: una sorta di prefigurazione, ma molto di più, un’esperienza dell’immaginario, che pur non accaduta nella storia è, nei suoi connotati essenziali, reale, e si configura come congiunzione delle dimensioni temporali futuro-passato-presente in un unico tempo qualitativo che è altra cosa dal tempo cronometrico. Un sogno insomma, sognato dal futuro e che contiene il momento storico presente, il qui ed ora dell’esperienza storica esistenziale ancora in corso, che essa stessa non potrebbe essere senza contenere in sé anche il passato. Mi pare questa, se non è un mio personale abbaglio, una lieve ma insieme profonda maniera di riflettere sul mondo, sull’esperienza, sull’essere. Il distacco si connoterebbe in questo caso, non tanto come de-cisione tout court ma più come ricerca di una giusta distanza che permetta di correggere la prospettiva dei sensi e del pensiero stesso, che forse la poeta considera deformata dall’esperienza esistenziale, dalle urgenza, dalle problematiche così poco “poetiche” che il vivere comporta.
Di conseguenza, il contenuto di questo libro è non soltanto un poetico racconto del proprio inferno terreno, ma il sogno di un paradiso, o meglio da un paradiso, che rimanda anche a una visione salvifica, pur in senso filosofico e non certo teologico.

Gianmario Lucini
– http://www.poiein.it/autori/2005_09/10_LuciniPizzo.htm )
6 sett. 05

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