PARTENOPE – Sette piaghe e un segno E-book di Antonella Pizzo

Sette piaghe

 

Si riscrivono le sette piaghe apocalittiche con visioni che non predicono ma dicono, dell’oggi. Ci attende una natura irriconoscibile, che si rivolta, che si confonde e ci confonde, alla fine: “sparisce il segno/ si piegano le ore/ in mescolanza d’uomini e d’insetti”. Ma anche noi siamo resi irriconoscibili: dal dolore (”dal sopraggiungere pallore”, dalle pene che abitano la casa, perfino “le macchie sul soffitto”). E i raggi di luce rinnovano il dolore, “sono ferite che tagliano il muro”.  Al termine dei versi d’introito ecco sgorgare un canto, la disperata chiamata d’un “medico santo”, poiché ormai “piena è la piaga/ arsa la mano”. Siamo così pronti a sentire il racconto delle sette piaghe.

I

La prima piaga è una donna – un tempo madre generosa e di bellezza fulgida e carnale – diventata mostruosità e contraddizione (”Soglia d’assalto ripulsa in estasi/ la santa è spiga vuota…Ora si stende in questo letto sacco… la notte cani le fanno sinfonia/ in questo strano mistero di distacco”).

II

La seconda piaga è una “putrida puzzolente/ nostra signora dei dementi”, è la galleria dei nostri consumi: “E’ come una croce questa galleria/ i chiodi sono i negozi…in un sogno di mari a specchio/smeriglio vetro, sanguino lenta.”. C’è un aprirsi di illusioni (”l’ imperdibile occasione/ di andare a Pausillipon/ li/ dove finisce il dolore…occhi negli occhi…oh mio maschio angioino”) , quindi il disinganno della piaga: “detto fatto siamo già a pezzi/ vetrine e prezzi nostra follia.”

III

La terza piaga è un santone, l’imbonitore di turno, colui che sa dare a ciascuno quel che vuole. Di fronte a lui siamo senza parole: “oh le nostre borse piene di orpelli/ e luccichii di stelle…sono vuote e piene/ a scuoterle non escono parole credibili”.

IV

Nella quarta visione la piaga è l’assenza dell’anima (”il trono era vuoto”) nell’esistenza quotidiana contraffatta, nelle “figure disastrate/ incastonate in un traffico”.

V

La quinta piaga, a sorpresa, è il ‘suo’ dito indice, l’indice di quella mano destra che “è desta e lesta” capace di levarti gli occhi, di estirparli. Con amara ironia, sembra si alluda alla divinità, senza mai nominarla.

VI

“Oh madre che non vedesti più figlio…Fagocitata è la parola giusta/ la vita il senso e le intenzioni..monastero Santa Chiara/ il porto, il partenope/pensare che dentro la balena/ qualcuno ci sarà che ancora dorme”: la sesta piaga è il distacco netto e tragico d’un figlio dalla madre, e del cordone ombelicale dei ricordi.

VII

La piaga ultima è l’insoddisfazione. L’esame di coscienza di tutta una vita

Un segno

Chiude la via crucis delle sette piaghe una poesia che s’accoda rispettosamente e sembra voler ricomporre le lacerazioni arrivando a tonalità leggere e svagate (”verresti con me a cantù?/ vestiresti merletti e trini/ in cantuccio cantare/ Napoli Venezia/ sospiri”). All’inizio c’è l’invocazione d’un segno – “Ecco/ m’arrivasse un segno un fresco un’ombra” – alla fine una domanda e un balzo di speranza:

“Se musica è combattimento

l’estremo strazio, l’ape ha punto il seno

sugge e non lascia presa

cosa possono mostrare queste mani?

è una montagna che ci compare in fronte

chiara e netta di roccia e lava

se raschio di lama tutto muta

il brucio dolorante diventa gioia azzurra

liquido d’amnio d’uovo

grasso di camicia di nuovo nato. In culla.”

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