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Strati – poesie siciliane con prefazione di G. Risica
Premiato al Città di Marineo 2004 e al Montalbano Elicona 2004

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E su paroli nuovi

Premio poesia@rete 2005 – Palermo 2° premio per la silloge edita

Premio Helikon 2005 – Premio speciale per la silloge edita

Con questa breve silloge Antonella Pizzo conferma quanto di buono ha finora dimostrato con le precedenti produzioni, attestandosi su posizioni di tutto rispetto nell’ambito della poesia dialettale siciliana. Il florilegio si distende, pagina dopo pagina, con lieve armonia ed una sorta di serenità che mai è assente, nemmeno quando vengono affrontate le tematiche esistenziali più difficili. E’ un viaggio lungo percorsi intrisi di interiorità, che visita luoghi di preziose memorie e le tappe della vita quotidiana, densa di emozioni, volti, luoghi, domande, sensazioni. La luce della fede spesso appare improvvisa a rischiarare le penombre che offuscano la vista e rischiano di fare smarrire anche l’anima. L’autrice, il cui stile appare ormai consolidato, regala liriche di rara intensità, la cui scarna musicalità è perfettamente adeguata alle parole che, così, acquistano più forza, imprimendosi maggiormente nella mente e nel cuore. (Giuseppe Risica)

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comunciumilientu
Trofeo di Poesia Popolare Siciliana “Turiddu Bella” – Siracusa 2005 – 2° premio per la silloge inedita

“Comu n ciumi lientu”

4 thoughts on “poesia siciliana

  1. Gli usignoli di Botonusa (Rubbettino Editore) “Ciò che conta, in definitiva, è ritrovare in sè il canto degli usignoli, come accade a me di udire sui fitti rovi del piccolo torrente di Botonusa.Forse ciascuno di noi li ha ascoltati, almeno una volta, altrimenti- io credo- prima o poi li ascolterà, quando meno se lo aspetta”. Emilio Argiroffi “Mi rifugio in te/ Isola parola/ Cerco la strada/ Ardua sul crinale del monte..” Quando si è finito di leggere “Gli usignoli di Botonusa” rimane l’eco di sillabe dolci e sospiri, unita a echi lenti, lontani aritmici: è la storia, l’epos storico che risale.Il mito roboato sonoramente da tanti verseggiatori è fatto rivivere dalle cose e dai sentimenti, rinasce concretamente e dolentemente nel poeta, che porta con sè secoli e secoli.” A. Piromalli
    Il polo tematico della memoria prendendo avvio da motivazioni percettive si configura come punto di riferimento di un procedere della rimembranza sul filo della gradualità di significati che hanno il loro significante nella duplice sfera del privato e dell’incoscio collettivo….Il linguaggio estremamente colloquiale che Argiroffi utilizza lungo l’intero arco dell’avventura poetica, esprime una significazione in bilico , a metà strada, e in termini di forte efficacia espressiva tra rimembranza , si diceva, e realtà: ne consegue una forte tensione spirituale verso le vittime della Storia, e al contempo una implicita condanna del protagonismo della storia stessa.” Walter Mauro
    “Non una lacrima si vide/ Nel mare/Il dolore è chiuso/ Nello scrigno di pietra …”Dice Nantas Salvalaggio “….E’ come un lavacro primitivo , nelle turbolenti acque di un fiume in piena. E c’è di tutto in quelle acque:ciuffi di erba strappata ai margini, fiori morti, tronchi d’albero.”
    “Nell’autunno del golfo/ Quanti azzurri/ Giulia/E le parole d’Ovidio.
    Chi era Emilio Argiroffi?
    Mandanici, 1922 – Taurianova, 28 maggio 1998) è stato un medico, politico e poeta italiano.
    Senatore del Partito Comunista Italiano per tre legislature; relatore della legge sull’inquinamento da rumore e sulla istituzione degli asili nido; sindaco di Taurianova dal 1993 al 1997. Autore di numerose raccolte di poesie; premiato al Premio Strega; vincitore di numerose rassegne regionali e nazionali.Dice di lui Maria Luisa Spaziani:” uomo politico inesauribile parlatore, brillante narratore conviviale,amante delle sorprese e dei paradossi,e lettore raffinato di quanto di meglio vi sia da leggere”.
    Maria Allo
    In ricordo di Emilio Argiroffi di Carmelina Sicari Voce dei “senza voce”

    E così infine Emilio l’ha incontrata, la signora oscura avvolta dalle nebbie che covava al fondo della sua poesia. L’ha incontrata faccia a faccia e certo con il suo fare ironico e cavalleresco ha scherzato sulla sua dipartita e su quell’appuntamento a cui da tempo era volto il suo sguardo. L’ironia di Emilio colpiva per la sua penetrante intelligenza, traspariva nel gergo familiare e nell’oratoria pubblica.
    Nella poesia invece c’era l’aspetto solenne e severo del sentimento e della passione civile.
    Emilio Argiroffi ha riassunto nella sua poesia l’aspetto pubblico di uomo impegnato e privato del fine dicitore di versi, degli amati classici.
    E’ giusto ritornare sul discorso del poeta Emilio Argiroffi non solo per esprimere sgomento e rimpianto, ma per coglierne la singolare unicità. Poeta della parola e dell’immagine, fu anche e lo è per sempre, perché questo è il dono della poesia, il superamento del tempo e dell’oblio, poeta degli ultimi, dei diseredati, dei senza voce.
    Mai simile contrasto in modo potente si è espresso con tanta evidenza e soprattutto ha prodotto notevoli frutti in efficacia espressiva. In genere infatti il poeta dell’orecchio non coincide con quello del cuore, secondo la definizione leopardiana abbastanza impietosa a proposito del Monti. In Emilio Argiroffi il poeta dell’orecchio e dell’immaginazione coincide con il poeta del cuore. Ed ecco che la sequela di splendide metafore, l’anafora, le allitterazioni si coniugano in maniera prodigiosa con i temi sociali. Ecco che Argiroffi si candida ad essere insieme Neruda e D’Annunzio, l’immaginifico per eccellenza.
    Quando la sua vocazione poetica si espresse a Reggio c’era un gruppo di intellettuali tra cui Tonino Monorchio, filosofo, il poeta-drammaturgo Rodolfo Chirico, il poeta-medico Carmelo Puntorieri. Anche Argiroffi era poeta e medico, aveva costruito la sua vocazione sociale e il suo impegno civile a fianco delle raccoglitrici di ulive della Piana, a fianco dei poveri e aveva collocato tali casi a fianco dei diseredati del Sud America, aveva elevato a misura universale i dati della sua esperienza quotidiana, così come Pirandello coniugava i casi della Sicilia con la dimensione europea di Bonn. Noi prestavamo orecchio, io e gli amici che ho citato, al suono della sua voce ed alla man veloce che a volte trasferiva nei disegni le impressioni della realtà.
    Quanto durò il sodalizio poetico-filosofico dei Villini Svizzeri? Quanto la tardiva seconda giovinezza nostra. Poi lui divenne poeta quasi vate della nostra realtà. Da I grandi serpenti miei amici, che fu la prima raccolta poetica, a Le stanze del Minotauro, fino alle ultime raccolte, egli ha trasferito nella parola il barocco quasi sfinito e struggente della sua origine siciliana, il senso della morte che nel barocco si annida nella dimensione europea.
    Ne I grandi serpenti esiste qualcosa d’altro: una dimensione asiatica, il mito non solo greco ma indoeuropeo, come ne Le stanze del Minotauro. Sono le due raccolte che amo di più. Il rapporto col mito è lì intenso e carico di allusivi significati, indaga nell’inconscio individuale e collettivo, giunge nel sottosuolo per riemergere nella realtà putrefatta a tratti ma rinnovata da quel sentimento civile che era il leit-motiv preciso del riscatto individuale e collettivo.
    La solarità della poesia rispondeva all’elemento greco della sua condizione di poeta, l’oscurità del mito asiatico alla dimensione globale mediterranea della sua natura. Ricordo l’impressione che gli facevano notare i poeti che erano riusciti a cogliere nel miscuglio della lingua i più arditi contrasti perché era consapevole fino in fondo della sua contraddizione.
    Lo sforzo costante e spasmodico era quello di riportare tale contraddizione nella lingua e nella parola, e di renderla feconda. Perciò a volte le sue composizioni erano ripetitive ed avevano il sapore delle nenie. Ricordo quella, su Vermicino, sul bambino sprofondato nel pozzo, il pozzo del Minotauro. La rileggeva ad ogni occasione in forma parossistica. Quella nenia riassumeva tutte le contraddizioni, il trenos greco, il mito subacqueo del pozzo e del Minotauro, il tema sociale.
    Il cuore di cantastorie si è ora fermato, ma non la sua parola.
    Ci sia consentito tributargli questo dono di lacrime e parole così come può essergli gradito e come forse si aspetta col suo sorriso ironico nell’Olimpo dei poeti. Forse i suoi Mani che ancora si aggirano fra noi ne saranno soddisfatti.
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  2. LA SICILIA SURREALE DI BARTOLO CATTAFI

    Così ha dichiarato Cattafi: “Cominciai a scrivere versi in preda a non so a quale ebbrezza, stordito da sensazioni troppo acute,
    dolci. Come in una seconda infanzia cominciai a enumerare le cose amate, a compitare in versi un ingenuo inventario del mondo… Tutt’intorno lo schianto delle bombe e le raffiche degli Hurricane, degli Spitfire.. .Me ne andavo nella colorita campagna nutrendomi di sapori, aromi, immagini. La morte non era un elemento innaturale in quel quadro: era come un pesco fiorito, un falco sulla gallina, una lucertola che guizza attraverso la viottola”. “La poesia appartiene alla nostra più intima biologia, condiziona e sviluppa il nostro destino, è un modo come un altro di essere uomini”. “La poesia nasce sotto il segno apparente dell’imprevisto… Poesia è dunque per me avventura, viaggio, scoperta, tentata decifrazione del mondo, cattura e possesso di frammenti del mondo, nuda denuncia del mondo in cui si è uomini, cruento atto esistenziale”. Il lavoro di Cattafi è un lavoro “artigianale”, non solo per la scrittura e riscrittura dei suoi versi, quanto per la quotidianità e naturalezza del suo scrivere, talvolta , come testimonia Raboni, più di un componimento al giorno, lasciando da parte, ovviamente alcuni periodi di silenzio, in cui prevalse forse la realtà sulla parola, in cui tra l’altro una diversa forma espressiva, quella pittorica, prese il sopravvento.
    Silvio Ramat, che forse più d’ogni altro ha tentato di sistematizzare la poesia italiana del Novecento in tutte le sue espressioni maggiori e minori, per Cattafi non ha trovato di meglio che parlare di “quarta generazione”e di linea lombarda degli anni cinquanta, citando Luciano Erba principalmente e poi Nelo Risi, Giorgio Orelli e Giovanni Giudici, per avvertire subito dopo però che Cattafi si muove ai limiti e ai vertici “degli avventurosi percorsi tronchi, che distinguono questa esperienza di generazione “, rispetto alla cultura precedente.
    Ma chi è Bartolo Cattafi?

    La ricerca poetica di Bartolo Cattafi

    (Nato a Barcellona Pozzo di Gotto 6 luglio 1922 e morto a Milano, 13 marzo 1979)
    Laureatosi in giurisprudenza visse tra Milano, dove lavorava come pubblicitario e la Sicilia. I viaggi che compì in Europa ed in Africa diventarono i motivi ispiratori di alcune sue raccolte di poesie come Partenza da Greenwich del 1955.
    Bartolo Cattafi (1922-1979) è tra le più imponenti personalità poetiche del nostro tempo, ma anche tra le più trascurate dalla critica militante. Grazie ad Ada De Alessandri Cattafi che ha messo a disposizione l’archivio completo del poeta con lettere, inediti, carte manoscritte e varianti delle poesie, questo volume può oggi offrire un bilancio maturo e completo di Cattafi e della sua opera.La sua prima raccolta di versi, Nel centro della mano, venne pubblicata nel 1951 e ad essa seguirono altre raccolte come Le mosche del meriggio nel 1958, Qualcosa di preciso nel 1961, L’osso, l’anima nel 1964, L’aria secca del fuoco nel 1972, Il buio nel 1973, Ostuni, nel 1975, La discesa al trono nel 1975, Marzo e le sue idi nel 1977, L’allodola ottobrina nel 1979, Chiromanzia d’inverno pubblicata postuma nel 1983 e Segni 1986.
    Il suo vagabondaggio giovanile senza meta o forse alla ricerca di una meta, il febbrile rincorrere una scoperta elencandone i dati, scoprendone l’angolo di visuale in cui la sua presenza si rivela come metafora e diventa leggibile, quindi il ritorno e l’ancorarsi alla Sicilia, al suo paesaggio, coltivando il disincanto dell’errore dell’aver creduto sono gli estremi di quella tragedia della conoscenza che è proprio nella mancanza di una verità finale: ” il libro di lettura della vita” secondo una definizione di Caproni .
    Un’arte dalle fughe è definizione consona per l’opera di Cattafi, sia per quel che riguarda ogni singolo componimento, sia prendendo tutto il suo arco produttivo, , in cui “esposizione” e “svolgimento” appartengono ai primi anni , mentre negli anni settanta c’è una concentrazione espressiva tendente allo stretto finale, in cui le voci subentrano una a ridosso dell’altra a distanza sempre più ravvicinata. Un viaggio, la parola è sempre quella, che si svolge a livello di radici, che sono sempre , meravigliosamente e disgraziatamente le stesse:”Avanti, sputa l’osso:/pulito, lucente,levigato,/senza frange di polapa,/l’immagine del vero,/ammettendo che in questo/unico osso avulso dal contesto/allignino chiariti, concentrati,/quesiti fin troppo capitali./Credo che tu non possa/ farcela; saresti/cenere nella fossa,/anima da qualche parte”.
    I versi essenziali de L’osso, in cui il poeta parla con se stesso sembrano centrali alla comprensione di ogni discorso a livello formale, quanto a livello di ricerca metafisica, senza naturamente voler vedere i due termini separatamente.Ingannare il tempo, titolo di un’altra poesia de L’osso, l’anima, non vuole certo dire ingannare anche se stessi, se l’invito è “fruga senza perdere / il dono della vista”. Quei sentimenti, quel vedere che erano stati alla base di tutta la tradizione decadente e crepuscolare, trova in Cattafi una trattazione assolutamente nuova, che rompe con ogni facile ironia o doloroso ripiegamento, non c’è fiducia e non c’è fuga , ma una razionale presenza , una ricerca continua di coscienza nel leggere la vita prima, non in un recupero della memoria, ma per cogliere drammaticità e contraddizioni esistenziali.

    L’originalità di Cattafi è anche in questo suo divenire, nel suo percorso circolare, è scrittura esplorativa, è conoscenza della sostanza del vuoto, del sempre uguale, e accettazione, non tradimento della vita, quindi prova d’amore, testimonianza, nello scontro, di una necessità e di una volontà del vivere, che si traduce magari nella lingua asciutta e poliedrica della sentenza, dell’immagine ambigua, quasi del pensiero aforistico. “La nostra più intima biologia” quest’ultima è per Cattafi la sfera a cui appartiene la poesia “Che nasce sotto il segno apparente dell’imprevisto”, per rivelarsi “avventura, viaggio, scoperta, vitale riperimento degli idoli della tribù, tentata decifrazione del mondo, cattura e possesso di frammenti del mondo, nuda denuncia del mondo in cui si è uomini, cruento atto esistenziale”,secondo quanto si legge in una confessione scritta agli inizi del suo impegno poetico, per l’antologia novecentesca di Spagnoletti.
    M.Allo

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  3. Filici truvarisi

    /Sulu lu passato ni l’occhi
    /naca di negghia marina
    /sulmenti lu prima e scaluna
    /-tanti scaluna-
    /appinnuti a lu rostru di lu celu

    /Filici truvarisi
    /quannu u suli
    /sgruppata a crinera
    /ncapu u mantu di la notti
    /s’arrisbigghia suvranu

    /Filici truvarisi
    /quannu pidati di luci
    /tagghianu lu ventu
    /arrassannu affranzi
    /e l’arbulu mostra l’oru di la spranza

    /A mia e a tia
    /ogni iornu arriala tinnirizza
    /e un sautu nu tempu
    /a stu sciatari amurusu
    /ca sciddica lentu.

    2° premio a Marineo – in quell’occasione ho avuto modo di conoscere
    di presenza Giorgio Albertazzi-

    Maria Stella Filippini

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