Antonella Pizzo, In stasi irregolare Prefazione di Gregorio Scalise, postfazione di Ivan Fedeli Le voci della Luna Poesia Premio Renato Giorni, 2007
Ci sono affetti che perdiamo e rincorriamo nelle nostre notti insonni, come si inseguono voci appese al silenzio.
Ci sono luoghi che sono la negazione del luogo.
Ci sono tempi nei quali le lancette si spezzano e i numeri si disperdono nella polvere.
Gli affetti che esistono in tali luoghi e in tali tempi sono, come recita il titolo di una raccolta di poesie di Antonella Pizzo, In stasi irregolare.
Solo una grande poetessa come Antonella Pizzo, siciliana, autrice di questa raccolta di poesie, vincitrice del Premio Renato Giorni, 2007, poteva trovare le parole per dirlo.
“anche noi si va e si torna, si gira intorno in tutto girotondo che mai concluso e cerchio che mai finisce, sono lunghe le dita da afferrare, sono tante le mani da aggiungere sono dita da aggrappare con forza, catena lunga che anello dopo anello e aggancio scorre sperando in un tondo finito ed è un cerchio che avvolge il mondo e più e più volte e che non pesa che calpesta le strade vostre in uno spazio che non è più spazio, in un luogo che non più è luogo. le vostre grida ci giungono stridenti i vostri canti sono ultrastonati così abbiamo piombato le orecchie abbiamo posto un cuscino di pietra. possiamo dire e dunque vediamo del passato e del presente e del futuro che è aperto portone sulla piazza delle finestre spalancate alla bisogna ci affacciamo per disegnare un angolo per buttare un’occhiata svagata sulla fiacca mosca che svolazza nelle stanze e stanze susseguenti noi possiamo visitare o dimorare attraversare ogni singola giornata”
(Tratto da “Qui”)
E i suoi versi sono come una nenia, sgorgano intatti dalle profondità della sua anima e dalla esperienza personale più lacerante, quella della perdita di una figlia. La dedica del libro recita infatti:
A Martina, Mandala, tenebra, mia meraviglia discetta versi che ti somiglia
E una strofa rappresenta più degli altri l’abisso del suo dolore, che il desiderio osa sfidare in una silloge compiuta aperta però all’infinito dell’attesa e dell’amore, nell’arco greve di un’impossibile possibilità che racconta l’orrore senza terrorizzare, perché che cosa ci potrebbe essere di più bello per una madre se non poter riabbracciare la figlia perduta, persino nella sua consistenza ultraterrena:
“come vorrei che tu venissi a trovarmi
di notte quando il fiato pesante
s’impicca alla finestra
quando all’aceto si fa l’abitudine e sotto le lenzuola
il dolore è recitato ora e per ore nel prossimo grano
se tu t’avvicinassi alla mia porta
con il vestito sporco di terra
nelle tasche i lombrichi grassi
con le tue quattro ossa in mano
nella mano d’ossa e le orbite vuote
con un pugno di denti da contare ad uno ad uno
non avrei paura del rumore delle nacchere
delle conchiglie spezzate sotto i piedi
t’abbraccerei piano
per non sconvolgere la tua struttura fragile
ma se tu tornassi di notte e vuota ti riempirei di foglie e paglia
e i vuoti e ancora nei capelli e ancora fiori a collane
ancora a fasci ancora intatti come quando
t’allontanasti senza chiedere se potevi
a lasciarmi gli occhi a rotolare e i baci di madre pure”
(tratto da “Qui”)
Nella poesia di Antonella Pizzo v’è un ritorno in eco, una fiamma che si autoalimenta, una rifrazione dell’invisibile, un giorno che ricomincia dal punto in cui si è spento: c’è un canto che si innesta nella visione, nell’odore, nel tatto. C’è la percezione sinestetica dell’aldilà.
E in questo moto circolare, ritmi di intensità variabile, digrignanti armonie assumono il valore di segno straziante dell’assenza.
Come può allora una madre non gridare vendetta?
“Madri che gridano vendetta per ogni osso spezzato, per ogni dente non ci sarà Santo Nicola e nel cuscino e sotto la moneta nelle grotte le stalattiti e le gocce di sale scendono nei fiumi e nelle foci arrivano nei mari si perdono e nei cieli negli scogli ci sono le storie dei vascelli attraccati di quelli naufragati l’albero maestro si spezzò cadde sul cranio dove il timoniere cantava ora ci nuotano i pesci la statua ha perso un braccio l’altro si trova più lontano è sprofondato nella caverna cava”
(tratto da In luogo e moto)
Come può non tornare da madre alla madre, a piedi scalzi, come una bambina che si sveglia di notte per un incubo?
“tornai da mia madre a piedi scalzi, magra
con una camicia lunga, senza maniche
bussai alla sua porta
ella stava facendo un accurato pedicure
sotto una luce gialla d’acciaio la limetta
l’attenzione all’occhio di pernice
a un ricordo incallito, dolore mai estirpato
tornare a casa mia, di notte, svagata
sotto una pioggia d’acqua, poi indietro
a tempo cercare le chiavi
l’urgenza, potrebbero svegliarsi e non trovarmi
il mio morbido grasso
quel mio quieto girare nel letto che rassicura
tornare a casa con una canoa, una piroga
nel ventre di una grande nave
scivolo via in piena
il braccio teso
le chiavi sospese in aria”
Il desiderio di riappacificarci con la vita, con l’essenza di ciò che ci è stato donato da nostra madre, ci spinge a volgere uno sguardo indietro.
In fondo dare alla vita significa senza volerlo, consegnare alla morte, in un gioco crudele di Thanathos e Bios, o di Thanathos ed Eros.
“dove il mio sangue, dove la mia carne, dove le mie ossa
vita che mi si è strappata addosso”
“l’utero è rinsecchito”
E c’è erotismo anche nella madre che allatta i propri figli, come nell’atto di riavvicinamento di una figlia alla madre attraverso la scrittura:
“Madre per te attraversai la faglia
per te arpionai la balena
e mille e mille volte scrissi la parola solchi
affinché il tuo latte potesse
nutrire la terra
e i tuoi capezzoli fossero calotte
così grandi da ricoprire il mondo”.
(tratto da “In luogo e moto”)
Il pensiero dell’assenza anzi l’ossessione non chiude i pori dell’esserci e del vivere, nonostante il dolore per chi ci ha lasciato. Ed è impossibile impedire alla vita, con le sue passioni, il suo anelito all’amore, di attraversare comunque l’essere di chi resta.
Antonella Pizzo commuove ed emoziona e la sua raccolta In stasi irregolare è sublime poesia, sommità e purezza di canto femminile