Perché la poesia, i poeti, una rivista, la risposta nella lectio di Cacciari

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Per Platone la poesia non ha funzione educativa ma è corruttrice, suscita emozioni, dà false rappresentazioni della realtà essendo imitazione di essa. L’unica poesia ammissibile è quella coerente con i valori della città e che contribuisca alla formazione della morale dei cittadini, quella del logos razionale.Nel Fedro Teuth propone al faraone l’invenzione della scrittura spiegando che serve a ricordare, ma il faraone non approva e sostiene che mettendo le cose per iscritto non è più necessario ricordarle. Platone è critico nei confronti della poesia. La poesia è cattivo sperma e chi la pratica è cattivo giardiniere.

Non tutti abbiamo avuto la possibilità e il piacere di essere presenti il 14 gennaio scorso alla festa organizzata da Poesia in occasione del suo ventennale. Qualcosa però a noi, amanti poveri e poveri amanti della poesia, è arrivata: prima di tutto il numero 223, copertina bianca con sopra scritto 20 anni, caratteri  in oro, costo 10 euro, 500 poesie sulla poesia; poi la pubblicazione nel numero di marzo della Lectio magistralis tenuta dal filosofo Massimo Cacciari nella sala delle Cariatidi di Palazzo Reale a Milano.

Presenti sul magnifico palco oltre a quest’ultimo, l’attore bulgaro Moni Ovadia, l’irlandese nobel per la letteratura Seamus Heaney, Nicola Gardini, l’editore Crocetti, l’inglese Tony Harrison, l’ateniese Titos Patrikios; assente giustificato, causa malattia, Bonnefoy;  e proprio da Bonnefoy, e da una vecchia prosa dello stesso dal titolo Antiplatone, che Cacciari inizia la sua magistrale lezione sulla poesia, sulla necessità della poesia, sulla resistenza della poesia.

 

“Ritengo infatti che la Poesia, la grande Poesia, sia sempre una sorta di scuola di resistenza, al “contro i poeti“che da Platone accompagna più o meno sotterraneamente tutta la nostra cultura”

 

“La nostra poesia deve giustificarsi, deve mostrare la propria necessità

 

Che la poesia debba giustificarsi è opinione comune, che non serva  a niente si è sentito affermare spesso dai non addetti ai lavori, che quando trattiamo numeri e diciamo: mettiamoci un po’ di poesia, intendiamo dire rendiamo le cose complicate e oscure. Alcuni poeti faticano a trovare una giustificazione e una spiegazione soddisfacente del loro fare, io stessa a volte mi scoraggio e mi chiedo perché lo faccio, perché continuo a scrivere versi che probabilmente non leggerà nessuno, che non serviranno a nessuno, con i quali non si potrà costruire niente, che non produrranno reddito, cibo, vestiti, calore, energia. Cacciari risponde a queste domande, afferma, la poesia “mostra, esprime (cut) la dimensione più originaria del linguaggio” noi non utilizziamo il linguaggio, il linguaggio non appartiene a noi, non è uno strumento, noi “siamo nel linguaggio” non possediamo la poesia, ma è la poesia che ci possiede. L’uomo “ha il logos come propria essenza”. Trovo la lezione di Cacciari stimolante, l’argomento poesia è come la poesia stessa, sempre aperto e sempre oscuro, Cacciari però è un filosofo e mette dei puntelli certi, fa il punto della situazione.

La poesia pare sia diversa della filosofia, dico io, quest’ultima utilizza un linguaggio certo e univoco, la prima un linguaggio che mai esaurisce i significati; il significato spesso è in ombra, sembra svelarsi e poi si nasconde, ognuno di noi legge le ombre e vede nelle ombre la rappresentazione di ciò che noi,  attraverso la nostra sensibilità, la nostra esperienza, il nostro sentire, riteniamo di vedere ma quando cambia la prospettiva, cambia il vento, il tempo e cambia il senso o è il senso che abbiamo individuato ieri che oggi ci ha cambiati.  La poesia è necessaria, oggi più che mai, è necessaria all’uomo in quanto singolo e all’umanità  nel suo complesso. La poesia è la scuola della resistenza, la resistenza dei poeti, del logos, dell’uomo, dell’essenza stessa del mondo e della vita. Resistenza dunque per far sì che non si dimentichi l’essenza del linguaggio e dell’uomo. Cacciari risponde agli interrogativi: Perché la poesia nel tempo della miseria? Perché scrivere e pubblicare versi mentre nel mondo infuriano guerre e tragedie? Risponde all’affermazione di Adorno: “Scrivere una poesia dopo Auschwitz è un atto di barbarie e ciò avvelena la stessa consapevolezza del perché è divenuto impossibile scrivere oggi poesie”. Scrisse Paul Celan, poeta rumeno di origine ebraica e di lingua tedesca sopravvissuto allo sterminio ma morto suicida nel 70, che con il silenzio le vittime del nazismo sarebbero state consegnate un’altra volta inermi ai loro carnefici. Resistenza per dare voce alle sofferenze dell’umanità, solo in poesia ciò è possibile giacché essa non de-termina chiaramente, non de-finisce totalmente, quindi non esaurisce mai i significati, apre al senso e resta sempre al senso aperta come le ferite sanguinanti dell’umanità, oscurità necessaria dunque, oscurità che apre all’immaginazione, allo scavo, alla scoperta, al ricordo, perché si ricorda ciò che rimane aperto, le ferite che sanguinano. Qualcuno forse si chiederà il perché di un’altra rivista di poesia, forse ci chiederanno di giustificare la rivista, se lo faranno avvertiamo sin da ora che anche queste risposte, volendo, si possono trovare  nella Lectio Magistralis di Cacciari. Facciamo resistenza, resistiamo al “contro i poeti” resistiamo con quello che abbiamo, come possiamo, resistiamo anche con una rivista come  questa, dove pubblicheremo poesie e presenteremo poeti resistenti e necessari, perché nonostante tutto non pensiamo che la poesia sia inutile e neppure i poeti.

Dai commenti di Poesia e monnezza

E credo che l’inutilità della poesia (se si considera il significato di utilitaristico nell’accezione comune e non in quello etico) sia uno dei presupposti fondanti  della stessa. Un’inutilità necessaria per sua natura, altrimenti tutto si ridurrebbe a un cammino ben poco consapevole, un andare senza meta, “inseguendo miti costumisti… senza uno sguardo etico”.E il senso, questo rovello che fruga senza esito… Ad alcuni (i poeti) sono dati come privilegio e condanna l’urgenza e la necessità ineliminabile dello scavo, la continua tensione verso l’ineffabile. Tensione che approda a risultati sempre “inutili”, ma così necessari.

Liliana Zinetti

*
 
Sobilla, simula, mente, si illude di scavare, di poter cambiare: insomma il poeta, cui aggiungerei anche gli attributi di  invidiososonarcisoombelicalepsicolabile metereopaticoisterico (pur se privo di isteron=utero), e spesso a rischio dell’abisso(suicidio), si dimostra  umanissimo per tutte queste sue dimensioni negative. Sono d’accordo quindi, Liliana, che meriti grandi dosi di ironia. Ma gli vogliamo lasciare un minimo tratto di pulizia, nel riconoscergli almeno quella spinta misteriosa e potente come una droga (anche tu la provi, vero?), che lo spinge a impiegare il suo tempo consapevolmente a vuoto, senza trarne alcun guadagno, inseguendo utopie, felice quando crea, profondamente e pericolosamente infelice quando non riesce a farlo?
Forse il limite è solo nello squilibrio tra la sua necessità di essere lettoascoltato, spesso abnorme, e quella di ascoltare… Sappiamo bene che vale più l’ascolto di un brano poetico che ti riempie di senso le circonvoluzioni, di tanti vaniloqui pseudoculturali o dello spendere la vita inseguendo miti consumisti di produttivitàsuccesso senza uno sguardo etico, appunto, a quella superficie che circonda e grida…La poesia, quella piena di senso, aiuta appunto ad acuire sensibilità e sguardo. Peccato che il concetto sia oggi misconosciuto, peccato davvero.

Anna Maria Ferramosca

*

Credo che il poeta rivolga al mondo uno sguardo che non’vede’ ma che capta l’imo delle realtà più profonde. Ideare immagini di realtà altre è l’intuizione rivoluzionaria: non il cambiamento, ma l’indicazione della sedizione, del sovvertimento.
La poesia è “inutile”, ma dolorosamente “obbligante” (e obbligata).

Mirko Servetti

*

Questa corsa verso la parola, nella fatica dello scavo, che poi non è mai così come la vorremmo.Trapassata dalla follia, dallo sconcerto di andare oltre sé stessa.

Margherita Rimi

*

ascolto
i morti e
sono mortale, mi aggiusto
le scapole prima di cadere
sciogliendomi io stesso
le cere d’api..c’è del sottile
in ganno in tutto ciò che faccio
mi nasco..ndo dove mi a m..m a z z o
ma mi amo così
tanto da ricrearmi ri cercarmi in ogni antro di
parola che os-curo dalla bocca messa
a t a c e r e.

Fernanda Ferraresso

pubblicato su viadellebelledonne

2 thoughts on “Perché la poesia, i poeti, una rivista, la risposta nella lectio di Cacciari

  1. in risposta impugno un mucchietto di aste.. le fisso nella piana della scrittura.

    Un palmeto i Getzemani. Gli ulivi di una mano.

    Tribù di parole feroci
    fedeli ai pali di tortura
    nelle loro sacre aste
    nere nell’in-chiostro ignoranza
    del più sè-greto buio.

    dentro la mano in-pugno

    queste truppe organizzate
    palizzate cieche
    nelle strategie dei punti
    riorganizzano solo la difesa. Piccoli s-pari
    a s-paventare i passeri.

    Dentro il tuo nero

    nelle reti tutte le parole
    uccelli spersi
    senza più canto
    sole grida
    tra i rossi che stillano
    fame ignoranza e
    persino amore.

    Ciao Antonella, e grazie per la letio di Cacciari, l’ho studiato a venezia, finchè frequentavo la facoltà.ferni

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