L’U.P.I. di Paola Lovisolo (di Margherita Ealla e Antonella Pizzo)

L’U.P.I. di Paola Lovisolo (uscito oggi su Poesia 2.0)

Immagine Paola Lovisolo: Dopo chilometri di cielo

di Margherita Ealla e Antonella Pizzo


Quello che segue è un dialogo a tre voci

Voce 1 – Paola Lovisolo.

U.P.I. Unità Poesia Insoluta

[soluzioni di continuità da un intervallo]

[nata per posteri abortiti non ho mai smesso di scrivere lettere agli oggetti]

venuti e andati, giochi e basta

[una musa intera è rarissima]

astinenza con le lacrime che scavano vie secondarie
vento per affrontare la mia voce per meglio succederle
davanti alla voce il vento per affrontare il mio sguardo
per meglio succedergli e davanti allo sguardo
ho continuato a nascere
elettrica di feticismi crepitati

così il foglio bianco:
modellaci tu un dio se sei capace
la pietra la cavi va via dalla statua
la pietra in di più
ma sul foglio le parole che vanno
cavate vanno scritte
vanno

o mettermi lì in amore
a scrivere le lettere che vanno cavate
per dirti l’ amore
come ho fatto o non ho fatto finora
è come se il foglio alla fine avesse
due bambini che si respirano in bocca
ombra di destrudo

(Paola Lovisolo versi e poesie dal sito Nevedicarne)

Voce 2  – Margherita Ealla

Anzitutto mi piace pensare a questo nostro incontro di voci come a quello dei tre cerchi del problema di  Apollonio, cioè generante  un’altra voce tangente che dà luogo a sua volta ad un insieme di  voci tangenti.  Allego l’immagine del frattale di Apollonio che mi sembra bene rappresenti tutte queste particelle l’una alle altre mormoranti.

E, a proposito Antonella, tu come leggi l’ U.P.I. (“Unità Poesia Insoluta”) di Paola?  Io essenzialmente in due modi: l’Unità come Poesia Insoluta e un’ Unità di Poesia Insoluta.

Voce 3 – Antonella Pizzo

Per quanto mi riguarda penso che l’ U.P.I. (“Unità Poesia Insoluta”) di Paola, letta sia nel primo sia nel secondo modo in cui lo leggi, sia destinato  a rimare un problema insoluto. D’altro canto la poesia è sempre insoluta in quanto deve lasciare necessariamente spazio alle risposte e alle domande, deve aprirsi al senso, a mille sensi tutti soggettivamente esatti ma mai oggettivamente, il foglio bianco è statico e piatto, il poeta deve modellarne le forme attraverso la scrittura e con le parole, ma queste forme non sono definite e chiare come accade con la scultura in marmo dove un naso è un naso e una mano è una mano, e si capisce che è un naso o una mano, anche se appena abbozzati dallo scultore, probabilmente dai buchi delle narici o dal numero delle dita. Diverso è il foglio che è piatto, diverso si fa con le parole, la poesia la scrivi e poi la scavi, tu crei la materia da scalpellare e levigare, crei il marmo, la struttura e in seguito  la modelli in sottrazione, lo scultore il marmo lo prende in cava e solo dopo averlo preso e portato nel suo studio può iniziare a sottrarne materiale per farne uscire la forma. Lo dice la stessa Lovisolo con i suoi versi

così il foglio bianco:
modellaci tu un dio se sei capace
la pietra la cavi va via dalla statua
la pietra in di più
ma sul foglio le parole che vanno
cavate vanno scritte

e a proposito di scavo leggo nel primo testo che anche con le lacrime  si può scavare, c’è secondo te attinenza fra lacrime e parole?

Voce 2  – Margherita Ealla

Senz’altro. Le lacrime possono essere un piccolo acuminato scalpello come le parole, gocce a (di)venire, anche fuoriuscire, che, ed è Paola a dirlo, “scavano vie secondarie”.  In fondo le lacrime che rigano il volto o le parole il foglio mi sembrano appunto le linee di taglio usate nelle cave per aprire – spaccare, mostrando la vena interiore.  Poi certo nelle scanalature  le lacrime fanno come  “le parole che vanno […]  vanno […] vanno”, scorrono, con la stessa iterazione con la quale il vento succede “davanti alla voce” , allo sguardo (“vento per affrontare la mia voce per meglio succederle/ davanti alla voce il vento per affrontare il mio sguardo / per meglio succedergli”).  Il tra-scorrere scava il qui e ora, ed ottimo perciò il tuo argomentare della scrittura che, con micangiolesca intenzione, scava in sottrazione la superficie del “foglio piatto”; scrittura come stampo e allo stesso tempo rilievo, nel rapporto duale forma-contenuto.  I versi che riporti mi sembrano infatti contenere il “perché non parli”  ma anche la consapevolezza dell’insolvenza della voce rispetto all’ essere, una volta nata, creatore di una creazione dal foglio bianco, tanto che Paola rilancia:  “modellaci tu un dio se sei capace”.

Un senso di Unità Insoluta (e insolvente) sintetizzato nel fulminante: “[una musa intera è rarissima]”.  Insomma, se non l’intero, dentro l’incavo, in estrazione, l’autore comunque (si) mette al mondo, istanzia, ma in una continuità non ferma: “Ho continuato a nascere” scrive Paola.   Da qui, lungo i versi, fino alla fine…..:  “mettermi li in amore”?

Voce 3 – Antonella Pizzo

Continua a nascere Paola e si mette lì in amore, “o mettermi lì in amore” o  a morire sul foglio, due bambini si respirano in bocca “è come se il foglio alla fine avesse/ due bambini che si respirano in bocca”  la respirazione in bocca richiama la respirazione bocca a bocca,  dalla nascita alla morte, dalla libido alla destrudo. All’ombra della destrudo contrapposta alla forza della libido, dell’eros, che secondo Freud è stimolo  a creare, energia d’amore e di vita,  “ombra di destrudo” la destrudo è il suo esatto contrario, è distruzione e annichilimento, pulsione del nulla, e ecco l’eterna lotta fra la vita e la morte, fra l’Eros e la Thanatos, fra la creazione e la annullamento. Il farsi bene e il farsi male.

Scrivere o non scrivere, come ha fatto o non fatto finora, vivere o morire, scegliere se lasciare il foglio bianco o scavare con le lacrime con il timore che la creazione venga soppiantata dalla furia della distruzione o lasciare che il tutto resti insoluto. Non so se sia questione di coraggio o forse di forza, deve il poeta come lo scultore avere forza ed energia? Energia è lavoro mi pare. Lavoro, potenza, energia vanno di pari passo, sono legati a filo stretto. Lavoro, potenza ed energia, che ne dici? Ci stanno in poesia?

a scrivere le lettere che vanno cavate
per dirti l’ amore
come ho fatto o non ho fatto finora
è come se il foglio alla fine avesse
due bambini che si respirano in bocca
ombra di destrudo

leggi il seguito qui

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