Lettera di Mariannina Leonforte allo sposo (uno dei testi del turoldo)

Foto di Vincent Dispenza

Lettera di Mariannina Leonforte allo sposo portato (1910) scritta da A.P. nel 2010

Io ti ho portato la roba a otto
otto coperte, lenzuola e cuscini, otto tovaglie da tavola
tutte ricamate a giorno, a intaglio, a punto inglese.
Io ti ho portato uno spencer e un sottanino di lino
che poi ho levato la notte di nozze e piegato all’angolo del letto
nei fianchi gli anulari mi hai poggiato
io ero rana che salta e tu rospo.

Tu avevi un camminare di anche, un incedere flemmatico
che mi sobillava le certezze e mi rivoltava il telaio
io ero foca monaca e tu tricheco.
Io era sarta e ricamavo iniziali e cifre ma mai scrissi il mio nome per intero
se solo tu l’avessi fatto sarei salita in cielo e poi sarei discesa con le stelle in mano
ma tu non sapevi di lettere e numeri
non di parole che s’aprono al senso, non frasi d’amore e gesti
mia madre commediando mi disse sarà un buon marito
mio padre seduto vicino al fuoco con un tizzone spento in fronte
rappresentava il diavolo fallito
i suoi occhi stillavano sangue rappreso
terra rivoltata e zolle secche
dalle nocche gli uscivano sterpaglie
dalle rotule ruggine gialla e astio
il grano è andato a male, l’annata pure
hai la roba a otto, hai fianchi larghi e ventre piatto
sei fatta per figliare e allora figlia, figlia mia
salva la casa e queste fondamenta che vacillano.

Io ti ho portato la roba a otto
salvami dalla morte da parto, dalla spagnola
salvami dal male e dai tiranni
dai silenzi di sposa e dall’incuria
dai mugugni del pane nero
io ti ho portato a casa la roba a otto
dalla casa di mio padre fui levata
io inghiottivo fiele e amaro
ti benedicevo nonostante tutto
negli armadi cercavo una dolcezza
svuotavo cassetti pieni di niente
di roba a otto e di speranze vane poi li riempivo.

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