La ruggine e il sale di Paolo Rabissi

(Paolo Rabissi, La ruggine, il sale, prefazione di Tiziano Rossi, edito da LietoColle, Faloppio (CO), 2004, pag. 109)

La ruggine mi fa venire in mente il sangue versato, il colore del sangue essiccato, il tempo passato, anche il colore della copertina è color ruggine, e non a caso reputo. il sale è il mare, è la sapienza che deriva dall’esperienza, è ciò che resta. La ruggine è l’ossido di ferro, il sale è dato da una combinazione fra un acido e una base, la base è il tempo, l’acido è l’esperienza, o viceversa. In questo caso il sale è quello marino, il cloruro di sodio, lo vedo dalla foto in copertina che si tratta di sale marino, così immagino il tempo che passa, il mare che si abbatte sulle ringhiere di ferro, sui relitti delle navi, la ruggine e il sale che si formano. Siamo infatti in un posto di mare, in un lungomare.
Rabissi nella prima sezione ci notizia che nel secondo dopoguerra a Santo Spirito di Bari si formò una colonia di sfollati provenienti da Trieste e che per alcuni si trattò di un ritorno giacché essi erano immigrati a Trieste nel 1920. Un viaggio dunque tra Trieste e la Puglia, dove il poeta pare abbia vissuto. Il libro è diviso in due parti, Lungomare e La ruggine e il sale (che dà il titolo all’intera raccolta)
La prima parte è formata da tre sezioni: Santo spirito degli sfollati; Interno con orto; Società stretta.

I versi sono brevi e le poesie anche, sono come delle istantanee che descrivono il tutto visibile e il non visibile. Le metafore sono assenti e la scrittura si gioca nei flash. Uno stile diretto che sembrerebbe distaccato, un controllato distacco come se il poeta non volesse essere coinvolto sentimentalmente. credo però che il poeta ci sia dentro con tutto se stesso e conosca ogni pensiero e ogni piega di ogni luogo e di ogni persona e che lo viva in prima persona, e che per pudore non mostra il suo coinvolgimento, anche se è chiaro che ama smodatamente i luoghi e le persone che racconta, perché solo di ciò che si ama si può parlare. E’ dentro i personaggi che popolano i suoi versi, dentro le strade, i bastioni, le mura, le finestre. Così attraverso i suoi occhi vigili e partecipi conosciamo il professore d’italiano che non vorrebbe essere come Don Abbondio ma forse già lo è, i due ginnasiali, il giovane conte, la donna venuta da fuori, l’emigrante tornato da chissà dove, la famiglia di nobili decaduti, il vento, il mare, l’acqua, le notti, i tramonti, le aurore, la ruggine e il sale, anche e soprattutto. E poi memorie, andate e ritorni, treni, navi, cavalli, lucertole:

Coltiva la memoria. Di amori…
Recita, con voce da fumatrice,
Silvia rimembri ancor…

Che legame ci fosse tra il carrubo
e la ferrovia in alto
se lo chiedeva ogni volta che li incrociava
con lo sguardo. Girando su di sé, lo zingaro
faceva trottare la cavalla.
La soluzione sembrò venire
quando un treno trapassò veloce
dentro la pianta. Era un’illusione,
a binari vuoti carrubo e ferrovia
tornavano a dire un senso.
La cavalla era contenta così.

 

 

Andata e ritorno nella stessa giornata.
Mezze ore stabili. Di rotaie,
traversine pesanti, bulloni.
Per campi, tenuti in tensione
di ulivi salini.
Sui vagoni brulicanti desideri,
pane grasso. A un capo il mare,
all’altro interno di Puglia.

 

Bagnanti impietriscono al sole.
Fanno a gara a perdersi.
Se muovono la testa è lentamente.
Come testuggini. O lucertola.
Per questo il tempo si ferma,
la nudità scavalca ore senza fine,
nei millenni solo la roccia ha ceduto,
nelle ferite si deposita sale. Ossa
e schiene sono sempre le stesse.

 

Il mare accoglie scheletri, avanzi,
rimodella senza soste,
respinge a terra solo gli infedeli,
gli abitanti dell’entroterra.
Portano con sé scalpelli e chiavi inglesi
per gettare ponti assicurare porti,
per tentare il mare portano scafi, ancore
medaglie di valore. Si guardano intorno.
Chiedono consensi.

a Giampiero Neri

Quest’acqua che spoglia e rincorre
insemina la soglia dei ricordi
come se la corrente sulla riva
serbasse impronte di gridi
calchi di silenzi a occhi aperti
bussole sonore di parole
pronte al getto di memorie.

PAOLO RABISSI è nato a Trieste, vive e lavora a Milano. Poeta e studioso di poeti ha scritto saggi su G. Cavalcanti, G. Leopardi, C. Collodi, G. Bertolucci, P.P. Pasolini, G. Caproni, I. Bachmann. Sue poesie compaiono su diverse riviste. Partecipa ai lavori di direzione de “La mosca di Milano” e de “Il Monte Analogo”. Ha pubblicato nel 2001 “Citta’ alta” per Dialogolibri e nel 2005 “La ruggine, il sale” per Lietocolle.

 

pubblicato su http://viadellebelledonne.wordpress.com

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