Apriamo i cuori alla speranza citando De Andrè e il Testamento di Tito

Anonimo , Traini Francesco - sec. XIV - Cristo crocifisso tra i due ladroni (Fondazione Zeri)
Anonimo , Traini Francesco – sec. XIV – Cristo crocifisso tra i due ladroni (Fondazione Zeri)

Il Testamento di Tito (Testo alla fine del post)

Tito, si legge nei vangeli apocrifi,  Protovangelo di Giacomo e Vangelo arabo dell’infanzia, era uno dei due ladroni crocifissi assieme a Gesù, l’altro ladrone pare si chiamasse Dimaco o Dumaco, che in greco  vuol dire “colui che combatte due battaglie”. Tito era il buon ladrone, Dimaco/Dumaco era il cattivo. Altri vangeli apocrifi chiamano Dismas o Dimas il primo, e Gestas il secondo.

Il vangelo arabo dell’infanzia racconta che Tito e Dimaco incontrarono la Sacra famiglia che fuggiva  in Egitto, per evitare la strage degli innocenti voluta da Erode. Dimaco voleva derubarli, stranamente Tito si oppose. Così, quest’ultimo, per evitare che ciò accadesse, offrì in cambio al socio 40 dracme . Gesù, poi, informò la Madre che quei due ladroni sarebbero stati Crocifissi con lui.

Lc 23, 39-43

Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: “Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi!”. Ma l`altro lo rimproverava: “Neanche tu hai timore di Dio, benché condannato alla stessa pena? Noi giustamente, perché riceviamo il giusto per le nostre azioni, egli invece non ha fatto nulla di male”. E aggiunse: “Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno”. Gli rispose: “In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso”.

Nel testo del Testamento di Tito, di F. De Andrè, c’è la confutazione dei dogmi e della morale, è rappresentatato un Dio lontano e ingiusto, “o troppo occupato”, un Dio che non esiste, e che è stato inventato dagli uomini.  Negli ultimi due versi dell’ultima strofa, la situazione ha, però, un capovolgimento imprevisto, infatti De Andrè fa dire a Tito:

Nella pietà che non cede al rancore,
madre, ho imparato l’amore

Tito tocca con l’anima la sofferenza che non chiede nulla, l’amore che nulla reclama, ha contezza dell’amore descritto da S. Paolo nella lettera ai Corinzi:

…non si adira,
non tiene conto del male ricevuto,
non gode dell’ingiustizia,
ma si compiace della verità…

Affermava De Andrè in “In Cesare G. Romana, Amico fragile, p. 76″:
Tito ne aveva fatte di tutti i colori ma senza far male a nessuno, sicché alla fine era più innocente di quel Cristo col quale gli toccò di dover dividere la morte ricevendone in cambio un’astratta promessa di paradiso, là in quell’esiguo spazio sul Golgota che ancora oggi, duemila anni dopo, ci pesa addosso.

Si dice che De Andrè fossse ateo, anarchico, agnostico. Ma io dico, semplicemente, noi cosa conosciamo di ciò che alberga nell’animo del nostro prossimo? A stento riusciamo a leggere dentro di noi. Facciamo presto ad affermare che tizio è ateo, invece, caio è cattivo, sempronio non è credente, l’altro invece è un sant’uomo, guarda quante opere buone! Quello andrà dritto dritto all’inferno, invece per l’altro saranno spalancate le porte del paradiso.  Può essere sì, può essere no, di certo in qualsiasi momento della nostra vita possiamo operare delle scelte diverse, nel bene e nel male. Sta a noi dire sì con fiducia alla speranza o  dire no e lasciarci affogare e soffocare dalla disperazione della negazione. Parecchie delle mie poesie, benchè dettate dal dolore e permeate da esso, parlano di speranza, a volte solo nello spazio bianco posto fra due versi,  Dentro l’abisso luccica la storia. E spero sempre di non perdere mai la speranza del bene e nel bene, e in questo mio sperare sta già insita la speranza. Così bene ha fatto il nostro Vescovo Mons. D’urso, nei suoi auguri natalizi “Apriamo i cuori alla speranza” a citare “l’ateo” De Andrè riguardo la speranza «Quello che Fabrizio De André invocava “Dio del cielo se mi vorrai amare scendi dalle stelle e vienimi a cercare”, è ciò che noi celebriamo a Natale. Un Dio che ci ama e viene a cercarci, facendosi uomo! L’esperienza di tante persone ci dà la conferma che senza di “te non so più dove andare, come una mosca cieca che non sa più volare”. E, purtroppo, “se ci hai regalato il pianto e il riso noi qui sulla terra non lo abbiamo diviso”. E De André conclude: “Dio del cielo ti aspetterò, nel cielo e sulla terra ti cercherò”. Anche noi lo aspettiamo (siamo gente che aspetta!), lo cerchiamo e siamo certi che egli viene per salvarci e riaccendere o consolidare la speranza».

Infatti  «C’è chi è toccato dalla fede – scriveva De André – e chi si limita a toccare la virtù della speranza (…), il Dio in cui, nonostante tutto, continuo a sperare, è un’entità al di sopra delle parti, delle fazioni». (cut)

Inoltre per confutare  riporto e cito  da  “La smisurata preghiera di un’anima salva“:  Ettore Cannas che nel suo bel libro “La dimensione religiosa nelle canzoni di Fabrizio De André” (ed. Segno), con un’accurata indagine statistica, ha catalogato i termini contenuti nei testi di De André. I risultati sono interessanti. Si scopre che i quattro termini più utilizzati dal cantautore nell’intera sua produzione sono: “Dio/Signore”, “Amore”, “Cielo” e “Vento”; questi ultimi utilizzati sovente in senso metafisico (vento è spesso usato nel significato biblico di ruah, il soffio dello Spirito). 

Il testamento di Tito

Fabrizio De André

[1970]
Testo di Fabrizio de André
Musica: Fabrizio De André e Corrado Castellari
(da un’idea di Gianfranco Michele Maisano)
Album: La Buona Novella

Non avrai altro Dio, all’infuori di me.
Spesso mi ha fatto pensare:
genti diverse, venute dall’est
dicevan che in fondo era uguale.
Credevano a un altro diverso da te,
e non mi hanno fatto del male.
Credevano a un altro diverso da te
e non mi hanno fatto del male.

Non nominare il nome di Dio,
non nominarlo invano.

Con un coltello piantato nel fianco
gridai la mia pena e il suo nome:
ma forse era stanco, forse troppo occupato
e non ascoltò il mio dolore,
ma forse era stanco, forse troppo lontano
davvero, lo nominai invano.

Onora il padre, onora la madre,
e onora anche il loro bastone.
Bacia la mano che ruppe il tuo naso
perché le chiedevi un boccone.
Quando a mio padre si fermò il cuore
non ho provato dolore,
Quando a mio padre si fermò il cuore
non ho provato dolore.

Ricorda di santificare le feste,
facile per noi ladroni
entrare nei templi che rigurgitan salmi
di schiavi e dei loro padroni
senza finire legati agli altari
sgozzati come animali,
senza finire legati agli altari
sgozzati come animali.

Il quinto dice Non devi rubare,
e forse io l’ho rispettato
vuotando in silenzio le tasche già gonfie
di quelli che avevan rubato.
Ma io, senza legge, rubai in nome mio,
quegli altri, nel nome di Dio,
ma io, senza legge, rubai in nome mio,
quegli altri, nel nome di Dio.

Non commettere atti che non siano puri,
cioè non disperdere il seme.
Feconda una donna ogni volta che l’ami,
così sarai uomo di fede,
poi la voglia svanisce ed il figlio rimane
e tanti ne uccide la fame.
Io, forse, ho confuso il piacere e l’amore,
ma non ho creato dolore.

Il settimo dice Non ammazzare
se del cielo vuoi essere degno;
guardatela oggi, questa legge di Dio,
tre volte inchiodata nel legno.
Guardate la fine di quel nazareno,
e un ladro non muore di meno,
guardate la fine di quel nazareno,
e un ladro non muore di meno.

Non dire falsa testimonianza
e aiutali a uccidere un uomo.
Lo sanno a memoria il diritto divino
e scordano sempre il perdono.
Ho spergiurato su Dio e sul mio onore
e no, non ne provo dolore,
ho spergiurato su Dio e sul mio onore
e no, non ne provo dolore.

Non desiderare la roba degli altri,
non desiderarne la sposa.

Ditelo a quelli, chiedetelo ai pochi
che hanno una donna e qualcosa:
nei letti degli altri, già caldi d’amore
non ho provato dolore,
l’invidia di ieri non è già finita:
stasera vi invidio la vita.

Ma adesso che viene la sera ed il buio
mi toglie il dolore dagli occhi
e scivola il sole al di là delle dune
a violentare altre notti:
io nel vedere quest’uomo che muore,
madre, io provo dolore,
Nella pietà che non cede al rancore,
madre, ho imparato l’amore.

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