Una vita in scrittura: Flora Restivo

pubblicato su limina mundi

omaggio a un poeta, Giorgione, 1505

 Una vita in scrittura

 

L’invito è stato rivolto da me a Flora Restivo che l’ha interpretato come segue.

Grazie infinite a Flora e grazie a chi si è fermato a leggere.

SCRIVERE PER SCOPRIRE SE STESSI.

Accidenti, non trovo più la stilografica, la mia cara Aurora 88, col cappuccio d’oro, eppure, in tutti questi anni, ho provveduto a ricaricare l’inchiostro, affinché non s’asciugasse! Dove l’avrò infilata? Apro, chiudo, metto tutto sossopra (sai la novità!). Ah , sì, nel cassetto delle lettere scritte e non inviate, tante, ma tante, più di quelle inviate.
Un foglio bianco, mai colorato di quel rosellina insulso che in tante, signore e signorine, preferivano, una penna antica, una donna… antica. Scrivere mi risulta piuttosto difficile, le mie dita sono quasi inservibili e la grafia ne risulta molto simile al cinese, ma non mi creo problemi, sarà compresa di sicuro.

Cara Flora, adesso sei al crepuscolo e mi pare giusto che io ti scriva, mentre siamo in tempo. E’ vero, lo so bene, ti ho amato poco; forse perché sono stata amata poco? No, non dagli uomini, quelli, appena vedono un grazioso faccino e un bel culetto, amano a modo loro, per correre, subito dopo, ad “amare” un altro bel faccino e un altro bel culetto, ma da chi avrebbe dovuto amarmi, avendomi buttato in questo mondo senza il mio assenso e non lo ha fatto o ,almeno io questo amore non l’ho avvertito. Ti ho sottoposto ad ogni sorta di torture, privazioni, violenze. Volevi fare la ballerina classica e non sono riuscita a fartelo fare, volevi fare la giornalista e non sono stata capace di impormi, lasciare tutto e scappare alla ventura, insieme a te. Bisogna avere coraggio, non pensare a nulla e lasciarsi andare, se si vuole veramente qualcosa. Ho lasciato che ti si picchiasse, rinchiudesse a casa, ti si dicesse che certi comportamenti, come prendere un caffè al bar, in compagnia di un amico, fossero da puttana, ti si imponesse uno stato tanto intollerabile da volerne uscire ad ogni costo. A volte ho dubitato della tua intelligenza, ma com’era possibile che tu, col cervello che la natura ti aveva regalato, sopportassi tanto male? Sei stata tradita, in modo volgare, hai pianto di rabbia, hai nascosto qualche livido sotto il trucco, molte piaghe nell’anima, sei andata avanti, pateticamente altera, in una vita che non era la tua, accanto a persone che non erano adatte a te ed io, lì, incapace di aiutarti, di darti quella forza che mostravi di avere e non avevi. Piangevi di notte, cercando di non singhiozzare per non disturbare ed io non sapevo come asciugare quelle lacrime. Poi è accaduto un fatto che ti ha disintegrato: la figlia bella, che avevi anche tu messa al mondo senza il suo assenso, ha lasciato te e me, così tu sei morta dentro ed io sono qui, con le mie dita intorpidite, a scriverti che mi pento di non averti amato, che magari ti ho amato, ma non te l’ho saputo far capire. L’amore s’impara dall’amore ed io non ho avuto maestri, così, ora, prima che non ce ne sia più il tempo, ti dico: “perdonami, sai ti ho amato, come ho saputo, di meglio non sono riuscita a fare, ma sappi che, quando andrai, avrai accanto tutto l’amore che era rimasto accatastato nel freddo di quella cantina buia in cui ho vissuto.”
Flora.

Bene, incomincio dalla fine. In questo breve e inconsueta lettera che scrivo a me stessa, c’è, forse, la genesi della mia scrittura: sviscerare il mio mondo, la vita, così come l’ho conosciuta e conosco.
Il mio esordio da scrivente fu molto precoce. Mi accostai alla scrittura, non appena in grado di scrivere e formulai due o tre frasi di senso compiuto che appallottolai e buttai nella spazzatura, alle elementari, riprovai al liceo, zero, avevo conosciuto la grande letteratura e quello che scrivevo mi sembrava una miseria, così tutto tacque per decenni.
Un giorno, mi imbattei nella poesia dialettale; una folgorazione!
Scrissi subito, non avevo fatto studi nello specifico, la metrica la conoscevo, ma non mi rappresentava in toto, il verso libero era la mia strada. Conobbi i grandi, amai particolarmente e lo amo sempre, Paolo Messina, attraverso una intensa e fruttuosa collaborazione col poeta trapanese Marco Scalabrino che, appena letto dei miei elaborati, dichiarò che ero già pronta, nata , come Giunone, già completa, dalla testa di Giove, trovai il coraggio di partecipare a molti Premi Letterari, con notevole successo.
Mi immersi nella lettura di chi aveva un posto d’onore nella poesia siciliana, lessi pure della bruttissima roba, tanta, così pronunziai una frase, forse non lusinghiera per qualcuno, ma valida per me: dichiarai pubblicamente, di avere imparato più dai cattivi poeti che da quelli “ buoni ”. Ne sono convinta, da loro ho imparato ciò che non bisogna fare. Quanto ai grandi, bisogna leggerli, introiettarli e dimenticarsene perché, se te ne fai influenzare, ne verrai schiacciato. Allora? Allora cercare la propria espressione personale, senza voler essere né innovativi ad ogni costo, tantomeno ricalcare modelli di successo.
Mi accorgo che la poesia dialettale, vive ancora, ma dovrebbe sapersi difendere da quelli che io chiamo:” killers”, quelli che scrivono senza rispettare nessun regola, nella più totale anarchia perché così si parla al loro paese, nel loro rione, nel loro palazzo…
Dobbiamo essere liberi di esprimerci come sentiamo di fare, ma non fare poesia col più bieco dei fonografismi! Siamo d’accordo nel pensare che il discrimine volgare secondo cui l’espressione dialettale sia di qualità scadente rispetto a quella in Italiano, sia una abnorme sciocchezza, pensiamo che la poesia sia poesia e basta, ma, come giudicheremmo male chi scrivesse quore e non cuore, altrettanto si dovrebbe fare di chi scrive ignorando ortografia, grammatica, sintassi e coerenza lessicale, quando si esprime in dialetto.
In un solo caso l’apparente noncuranza di tali regole, si sublima in Poesia, un unico caso e parlo del compianto Salvo Basso che scriveva come pensava, sembrava infischiarsene persino di completare un verso, ma la sua poesia scioglieva l’anima, la sua ironia era trascinante.
Personalmente, conobbi per prima, la poesia facile, anche a rima baciata, ascoltai poesie che si muovevano sul registro del “divertente”, conobbi, in una i queste occasioni, un giovane e magrissimo Marco Scalabrino, attento, serio, poco loquace che sarebbe esploso dopo qualche tempo e, ora, ha un posto rilevante nel mondo culturale ,non solo siciliano.
Nacque una bella amicizia, una comunione di intenti che ci portò ad importanti traguardi.
Dico sempre che non sarei come sono, nel bene e nel male, se non fossi siciliana, eppure, avendo avuto in sorte di soggiornare in molte parti d’Italia, ho saputo tenere la mia sicilianità come un prezioso valore aggiunto, tutto mio e sono stata, calabrese, in Calabria, umbra, in Umbria, non napoletana in Campania per via di una grande differenza caratteriale, certamente imputabile a me.
La mia scrittura dialettale è amata e curata come una creatura che, nell’amore, cresce e profuma, ricerco le parole antiche e dimenticate e cerco di dar loro nuova vita, ma non ne abuso.
Scrivo anche prosa e scrivo in entrambi i registri linguistici in un modo che mi appare dignitoso.
Dopo la dottissima e circostanziata analisi di Marco Scalabrino, mi limiterò a dire che ho conosciuto personaggi che hanno un posto di rilevanza nella nostra poesia e nella cultura latu sensu, anche di altre regioni, ho goduto della loro stima e, talvolta, anche di rapporti amicali.
Ho fatto traduzioni dal dialetto all’Italiano e da dialetti diversi, al siciliano, sempre impegnandomi al massimo e, tutto sommato, divertendomi anche.
Ho fatto la scelta, forse sbagliata, che è quella di tenere un basso profilo, considerandomi sempre e comunque, discente, perché, infine, tutti lo siamo, anche chi si ritiene in vetta, pertanto mi avvio a concludere il mio intervento e lo farò con una citazione e qualche poesia in coerenza col titolo che ho dato a questo mio intervento.
Da Marco Scalabrino, nella postfazione della mia silloge : “ Po essiri”
“Si è affermato già in CIATU, ma repetita iuvant:

A questo punto, ritengo di completare il mio contributo con mie poesie, magari capaci di compendiare, almeno in parte, il senso di ciò che ho scritto:

JU

Ju sugnu fatta di nenti:
di ariu
di luci
d’amuri
raspatu cu l’ugna
nna petri di cori nsirragghiati.

Li manu chiusi a pugnu
addifennu
stu nenti
cu tuttu lu me ciatu.

Na mossa, na parola
e sugnu pupu
cu li fila tagghiati.

Io sono fatta di niente/di aria/di luce/d’amore/graffiato con l’unghia/un cuore di pietra serrato//Le mani chiuse a pugno/difendono/questo nulla/con tutto il mio fiato.//Una mossa/una parola/e sono una marionetta/con i fili tagliati. (traduzione di Antonella Pizzo)

SULDATU SPERSU 
Zoccu rispunnu?
Sugnu chissa…
chissu…
chisss’autru…

tampasiava

raciuppannu aschi

di tempu latru…

ammagghiava

nna trizzi di strati

dunni lu suli trasìa

a pinnulara vasci…

 

Pigghiatimi accussì

suldatu spersu

chi s’arricampa

d’un frunti stramànu
strascinannu
pedi
e scorci di spiranza.

Non chiedetemi/ chi sono/ e /dove sono stato. //Cosa potrei rispondere? /Sono questa…/ questo…/ quell’altro…/ vagavo/ raccogliendo memorie /di un tempo ladro…// intessevo un groviglio di strade/ da dove il sole entrava/ con le palpebre abbassate…/ Accettatemi così/ soldato disperso/ che torna/ da un fronte lontano/ trascinando/ piedi/ e avanzi di speranza. (Traduzione Antonella Pizzo)

ARRIVARI

 

Chiddu chi avìa di campari

mi lu campai

chiddu chi avia di chianciri

mi lu chiancivi

vitti

bonu e tintu

suli lampi trona

sdilluviu di sangu

appizzatu mura mura

e

nutrichi culuri di rosa

chi nun eranu mei…

 

Ora

un rufulu di ventu

m’accuntentu

la maària di na taliata

mi fa duci la jurnata

ma ssu ciauru chi passa

si ncugna

e nun s’arrassa

mi fa aspittari

a porta sbarrachiata

chi ssa jurnata

m’addiventa nuttata.

 

Quanto avevo da vivere/ ho vissuto/ quanto avevo da piangere/ ho  pianto/ ho visto/ buono e cattivo/ sole fulmini  tuoni/ scorrimento di sangue/ fissato ai  muri/ e/ bimbi color di rosa/ che non erano miei…// Ora un refolo di vento/ mi fa contenta/ la magia di uno sguardo/ mi fa dolce la giornata/ ma quell’odore che passa/ si intrufola/ e non si allontana/ mi fa aspettare/ con la porta aperta/ che quella giornata/ mi diventa nottata. (Traduzione Antonella Pizzo)

 

 

Per concludere, una poesia in Italiano

 

                SARO’

 

          Frantumarsi

  in albe dai colori acerbi

e giorni grondanti di paure:

   un telefono che grida

una sirena che insegue la vita

  una voce che si fa nemica

          eppure ami…

 

     Vedo i miei frammenti

                  agitarsi

    in un volgare esercizio

         non provo pena

                 sarò aria

               sarò pioggia

             sarò brandello

 dell’inesplicabile divenire.   

 

 

 

Ecco, credo di aver espresso al meglio delle mie capacità, come nasce la mia scrittura. Quanto si sia evoluta ,si possa evolvere o, magari, segnare il passo, non saprei.

Ringrazio per l’attenzione e per l’invito, mentre mi scuso per le manchevolezze di tipo tecnico che ci saranno, assodata la mia immensa incompetenza informatica.

Grazie ancora.

Flora Restivo 14/10 2022

One thought on “Una vita in scrittura: Flora Restivo

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *