San Giovanni decollato 29 agosto.



Non ricordo esattamente quando hanno inventato i polli, da piccina i polli non c’erano ancora o forse c’erano e io non lo sapevo. C’era invece un tizio che ogni tanto girava per quartieri, vanniando iaddineeee iaddineee, non diceva polli, perché i polli ancora non esistevano.
Il tizio passava di mattina presto con una vecchia moto ape caricata a gabbie dove teneva rinchiuse delle vecchie galline spelacchiate, perlopiù con un piumaggio di colore arancione scuro a tratti grigio sporco, con delle zampe rugose gialle e spesse, una corona pizzuta e rossa in testa. Mia madre scendeva e ne comprava una.
Questo accadeva ogni tanto, di sicuro ogni anno in concomitanza della festa del patrono, San Giovanni decollato, festeggiato il 29 agosto e non il 24 giugno come in altri paesi. Il 24 giugno sarebbe data di nascita di San Giovanni Battista. Del nostro santo invece si festeggia la data di morte, quando san Giovanni fu decollato, cioè gli fu tagliato il collo, e non come pensavo da piccola che era decollato come un aereo in cielo in quanto santo supersanto.
Quando lo seppi ci restai molto male, capivo che si faceva festa perché il santo in barba a tutti noi partiva come un razzo verso il cielo e tutti noi in terra a fare alè alè e fare festa, ma festeggiare uno a cui si taglia la testa non mi ci capacitavo proprio.
Così mia madre comprava questa gallina viva e spelacchiata con le zampe legate e me la consegnava per l’ammazzatina e la spennatura da consumare rigorosamente per la festa.
L’ammazzatina non era cosa facile in considerazione del fatto che la stessa doveva avvenire nel balcone e che io potevo avere 10 anni più o meno, né troppo piccola né troppo grande per dire no, che la gallina mai poi mai l’avrei ammazzata. Così la decollavo come il santo festeggiato e in suo onore. Sotto lo sguardo vigile di mia madre mettevo la gallina a terra, il collo sotto il manico della scopa tenuto bloccato con i miei piedini innocenti e la gallina veniva tirata per le gambe e zac morta. Mia madre non lo faceva mai perché diceva che le faceva impressione, che era troppo sensibile. Si vede che io a quell’età non avevo ancora sviluppato la sensibilità. O forse pensava che ammazzare la gallina poteva essere peccato per lei che era adulta e lo faceva fare a me che non avrei pagato pegno in quanto piccola. Dopo di che appendeva la gallina con i piedi al bastone e io con il coltello le tagliavo la pancia di netto in mezzo come si fa per pulire i pesci, per estrarne le budella, ovaio, fegatini, cuore, milza e intrigli vari non meglio identificati, che finivano nel secchio pieno di acqua calda, dove in seguito la gallinella decollata veniva immersa e spennacchiata tutta. Facevamo tutto nel balcone perché la cucina si sporcava. Ultimo compito spettava a mia mamma e consisteva nella bruciatura di ciò che restava delle penne. Questo avveniva nel fornello del gas in cucina. Allora si diffondeva per la casa un odore di sangue caldo dolce e vomitevole, di unghie e capelli bruciati che sapevano di odore di morte e di sperdimento. E si stava lì, stanche e sudate a guardare la povera gallinella nuda nuda che senza pudore sul tavolo di marmo grigio e venato di azzurro cielo si mostrava in tutta la sua e nostra povera miserabilità.
Ma la morte richiama la vita e la cucina l’indomani odorava allegra di sedano e carota, di cipolla e pomodoro, di brodo di carne di gallina e la pancia della gallina, che il giorno prima era stato svuotato dalla sua linfa vitale, ora era tornato in vita, gonfio di riso e del tuorlo di quelle piccole uova a grappolo che aveva al suo interno non ancora compiute, morte prima di nascere, ma rinate in forma di ripieno, di fegatini e cuore. Che delizia a tavola e che festa quel brodo caldo e saporito che ci rinfrancava e il ripieno di riso e la carne che era sostanza, mancia mancia che è sustanza, così ci diceva la mamma, la sostanza che ci aiutava a rimpolpare le nostre anche rinsecchite dal troppo correre e saltare nella piazzetta. Era quello il nostro San Giovanni decollato, solo quello, solo la mangiata della gallina, non ci portava neppure alla processione, perché mia madre il santo decollato in fondo lo snobbava perché era di Palazzolo Acreide e il suo santo era San Paolo, quello sì che era un gran santo, aveva la spada in mano e di certo non si faceva decollare come San Giovanni e come la nostra vecchia gallinella decollata che però davvero ci dava sostanza e davvero ci faceva un buon brodo, suo malgrado.






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