Mi limitavo ad amare te – Rosella Postorino

Il nuovo romanzo di Rosella Postorino, Mi limitavo ad amare te, edito da Feltrinelli nel 2023 p.352, proposto per il Premio Strega 2023 da Nicola Lagioia, è un romanzo ispirato a vicende realmente accadute, così come il precedente e bellissimo Le assaggiatrici  ambientato in Germania durante la seconda guerra mondiale, che trae ispirazione dal racconto di Margot Wölk la quale a 96 anni confessò di essere stata una delle assaggiatrici del cibo di Hitler nella caserma di Karusendorf. Le assaggiatrici edito nel 2018 da Feltrinelli ha venduto, fra l’Italia e l’estero, 300.000 mila copie e ha vinto il Premio Campiello 2018.
Le vicende narrate dal romanzo Mi limitavo ad amare te partono da Sarajevo durante il conflitto della Bosnia – Erzegovina degli anni ‘90. Il racconto inizia nel 1992 e prosegue fino al 2011, durante una guerra combattuta vicino casa nostra ma che forse buona parte degli italiani ha vissuto con un certo distacco, come se gli orrori accadessero  lontano anni luce da noi e non nell’altra sponda dell’Adriatico. I protagonisti del romanzo, Omar, Senadin, Ivo, Danilo e Nada, non sono realmente esistiti ma le loro vicende romanzate sono alquanto verosimili. Nel 1992 Sarajevo era stata posta sotto assedio e veniva bombardata da mesi, mancavano luce, acqua e cibo. Gli educatori e i responsabili dell’orfanotrofio  Ljubica Ivezić dopo lo scoppio di una bomba nell’istituto, che aveva causato il ferimento di due bambini, decisero che i minori ospitati venissero portati in salvo in Italia. Così gli orfani e bambini disagiati, che vivevano nella struttura, furono fatti salire su un pullman per Spalato per essere condotti in un luogo sicuro lontano dalla guerra. Da Spalato furono trasferiti in aereo a Milano e quindi divisi fra Rimini e Monza per trascorrervi le vacanze estive.
Non tutti i bambini erano orfani, alcuni avevano i genitori ma erano stati affidati all’orfanotrofio non avendo la possibilità di prendersene cura, e non solo per motivi di ordine economico. In seguito trascorsi i due mesi di vacanza, le autorità italiane, visto il perdurarsi del conflitto e ritenendo che nei territori di provenienza non ci fossero le condizioni per il rientro, presero in carico i minori e li trattennero negli istituti o li diede in affido.

Omar, Senadin, Danilo e Nada, una mattina di luglio viaggiano insieme nello stesso pullman diretti in Italia. Nada e Danilo, quattordicenne educato e gentile, faranno amicizia e il loro rapporto durerà fino all’età adulta. Danilo non è un orfano, ha una sorella più piccola diventata balbuziente per la paura, i genitori sono preoccupati e lo fanno partire per l’Italia affinché stia al sicuro per qualche mese. Neppure Omar e Senadin sono orfani anche se  vivevano in orfanotrofio. Neppure Nada lo è, abbandonata da sua madre, non sa dove è.
Nada è amica di Omar, è la sua confidente, l’unica che lo capisce, lei ha un fratello più grande, Ivo, che viene arruolato e resta a combattere. Il suo nome in spagnolo significa niente, ha perso un dito della mano, e prova vergogna per questa sua mancanza, non piange mai anche se dentro ha l’orrore.
A Sarajevo Omar ha una madre che lo veniva a trovare in orfanotrofio quasi tutte le settimane. Uscivano e andavano in giro nonostante i cecchini, spesso la madre portava a Omar una lattina di Coca Cola procurata chissà come. In una di queste passeggiate a Bjelave, un quartiere di Sarajevo, scoppia una granata. La madre incita Omar a scappare, Omar fa sempre quello che le dice la madre, la ama di un amore folle, la adora, vive per lei, ubbidisce sempre alla madre e se la madre dice scappa Omar lo fa. Così Omar corre e corre senza mai voltarsi indietro, così gli ha detto di fare sua madre. Della madre si perdono le tracce e Omar  e suo fratello Sen vengono portati in Italia. Omar  cerca sua madre incessantemente, la aspetta per anni, non vuole nessun’altra madre se non la sua, ama solo lei. Si rifugge spesso sugli alberi come il barone rampante di Calvino, anche se Omar non è un nobile e non fa i capricci come il baronetto che non vuole mangiare le lumache, Omar vuole  caparbiamente essere figlio e vuole vivere con sua madre. La ama al punto che rifiuta in Italia l’adozione e l’amore di una famiglia di brave persone che alla fine si rassegnano al fatto che non saranno mai accettati da Omar e decidono di tenere solo Sem.
Il libro si divide in quattro parti, dal 1992-93 al 2010-11, sono quasi venti anni durante i quali i ragazzini di Sarajevo diventeranno uomini e donne.
È un romanzo sulla maternità, racconta di madri che non possono diventarlo e madri che non riescono a portare il peso di esserlo, madri mancate e respinte, madri accoglienti e accolte. È una storia di guerra insensata e di vittime innocenti, di persone inermi che subiscono la guerra senza poter far nulla se non ripararsi e scappare per poter aver salva la vita, storia di abbandono e di morte, di amore in tutte le sue accezioni, storia di solitudine.  È la storia di un’amicizia nata nell’avversità, che esiste fra i ragazzi e che perdura fino all’età adulta. Storia di generosità che sboccia come fiore sulle macerie di un mondo devastato. Nonostante la presenza di cecchini, di violenze, degli orrori della  guerra, colpisce nel romanzo della Postorino, la narrazione della presenza reale e salvifica della bontà e della solidarietà. La ritroviamo nel soldato serbo che si adopera per aiutare la madre di Danilo,  nella stessa madre di Danilo, negli educatori dell’orfanotrofio, nelle suore senza velo, in suor Nanetta, Suor Tormento, in Lidia, nella vicina di casa Dora, nella famiglia adottiva, e perfino nei carcerieri. È storia sull’amore che soffoca, sulle assenze che pesano e distruggono, così come certe presenze ingombranti. O diversamente è l’amore che si fa assenza e si mette da parte per non essere di peso o impedimento. Si muore tutti e, come cantava De Andrè, quando si muore si muore soli; ma la vita è più forte della morte, così c’è chi non si arrende davanti alle avversità e lotta con tutte le forze per la sopravvivenza, mettendo in atto delle strategie personali di salvezza, inimmaginabili in condizioni di pace. Pollicino aveva paura di essere abbandonato dai suoi genitori che non possedevano nulla, così Pollicino lasciava cadere pezzi di ciò che trovava nel bosco, sassolini, legnetti, pezzetti in cui poi ritrovarsi, per non perdersi, se non avesse trovato altro avrebbe lasciato pezzi di sé stesso, per poi cercarsi, ritrovare la sua strada e sopravvivere, così come i bambini  di Sarajevo. La Scrittura della Postorino coinvolgente nel raccontare la voglia di farcela a tutti i costi e la forza della solidarietà e dell’amicizia, potente ed efficace nel raccontare l’amore e lo strazio di madri e di figli, nel raccontate la  violenza, specie negli inframezzi  in corsivo, perfettamente equilibrata e mai stucchevole, ci fa immedesimare nei personaggi e ci fa amare i protagonisti, ci fa amare  la vita nonostante il dolore di cui molto spesso è permeata, ci dà speranza, nonostante le guerre e gli orrori che ci circondano.

Rosella Postorino è nata a Reggio Calabria, prima di trasferirsi a Roma ha vissuto a San Lorenzo al mare. Ha pubblicato i romanzi: La stanza di sopra, 2007 Neri Pozza Bloom; L’estate che perdemmo Dio, Einaudi Stile Libero, 2009; Il corpo docile, Einaudi Stile Libero, 2013; Il mare in salita, Laterza, 2011, Le assaggiatrici, Feltrinelli, 2018; Tutti giù per aria, Salani 2019; Io, mio padre e le formiche. Lettera ai ragazzi sui desideri e sul domani, Salani 2022.

Izet Sarajlic
Cerco la strada per il mio nome

Passeggio per la città della nostra gioventù
e cerco la strada per il mio nome.

Le strade grandi, rumorose
le lascio ai grandi della storia.

Cosa facevo io mentre durava la storia?
Mi limitavo ad amare te.

Cerco una strada piccola, semplice, quotidiana,
dove, senza dare nell’occhio al mondo,
possiamo passeggiare anche dopo morti.

All’inizio essa non deve avere molto verde,
neppure i suoi uccelli.
È importante che in essa, sfuggendo alla persecuzione,
possano sempre trovare rifugio sia l’uomo che il cane.

Sarebbe bello se fosse lastricata,
ma, in fondo, neppure questa è la cosa più importante.

La cosa più importante è questa
che nella strada col mio nome
mai a nessuno tocchi una disgrazia.

Izet Sarajlic (Doboj [Bosnia ed Erzegovina], 1930 – Sarajevo, 2002)

pubblicato su Limina mundi

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